Fellini e Pasolini durante le riprese di "La Dolce vita" (1960) © Archivio Cicconi/Fondazione Allori/Riproduzione riservata
- Fellini: Questo caratterizzava un po' Pasolini, voler trasgredire ma voler essere allo stesso tempo accettato e riconosciuto dalla società il cui ordine trasgrediva... Ma senza ombra di autoironia... In lui tutto era vissuto in un modo più forte, disperato. Soffrendo o leccandosi le ferite. Certo, di questo, rappresenta l'esempio più pertinente, più eroico e più tragico.
- Quello con Pasolini è stato un incontro mancato. Ricordo la storia di «Accattone», che avresti dovuto produrre tu. Poi invece ti ritirasti... Ti va di parlarne?
-F: Si può parlare di tutto! lo ho avuto un'enorme simpatia per Pasolini. Lessi Ragazzi di vita, e fu un innamoramento totale. Lo cercai, e lui arrivò da Canova con il suo passetto elastico, intimidito, con gli occhiali neri, e mi fu subito simpatico, lo sentii come una sorta di fratellino, tenero, delicato e monello, sassaiolo, di quelli che fanno a sassate a fiume. Lo invitai a collaborare a Le notti di Cabiria, riferendogli il soggetto. Poi lui raccontò in un articolo sul Giorno questo incontro, e mi vidi descritto con grande acutezza e precisione. Diventammo amici. Facevamo scorribande notturne in quei quartieri tetri che lui conosceva e io no. Tiburtino III, Primavalle, Prima Porta... dove lui era conosciutissimo. Appena arrivava c'era un correre di piccole ombre, si apriva qualche finestra, «c'è Pier Paolo», «è Pier Pa'»... Lui era innamorato del cinema, e in quel periodo con il successo della Dolce vita, ero riuscito a convincere il vecchio Rizzoli a fondare una società che si chiamava Federiz. Federico e Rizzoli. Ma io dicevo che Federi stava per Federico e per Rizzoli c'era solo la zeta, e questo divertiva molto Rizzoli! Quest'impresa era partita in maniera subito favorevole, avevamo avuto offerte di collaborazione dalla Francia, dalla Germania... Però, tutto quello che ho poi fatto con la Federiz è stato di cercare degli uffici e di arredarli. A via della Croce trovai un grande appartamento che mi divertii ad arredare tra il convento e la taverna dei tre moschettieri, e che diventò il luogo di ritrovo di tutti i generici di Cinecittà... «Ah dotto', ma quanno se comincia?». Rizzoli mi aveva messo vicino un amico, un giovane molto intelligente che aveva latto l'organizzatore generale in tanti film ed era stato direttore di produzione anche in alcuni dei miei. Clemente Fracassi s'intendeva di cinema ma aveva un temperamento portato a una visione negativa delle cose, mentre c'era in me un ottimismo che, tutto sommato, rivelava la mia estraneità a questo tipo di funzione, di attività produttiva. La società nasceva con l'ambizione di lanciare dei giovani, di trovare nuovi talenti, lo mi ero messo nell'impresa con l'entusiasmo del regista che vuol provare a fare un'altra cosa, che vuol trovare nuovi registi. E uno dei primi fu Pier Paolo, che mi portò il copione di Accattone.Non lo dico per giustificarmi, ma io dissi subito di si, pur vedendo già una certa ostilità in Fracassi, riverberata sul vecchio Rizzoli, che diceva di non avere tanta simpatia ne per i comunisti né per gli omosessuali. Ditesi Pier Paolo forse anche in maniera esagerata se mi feci guardare con sospetto dal vecchio Angelino (Angelo Rizzoli, ndr.) chissà, comunista e omosessuale anch'io! Ma Rizzoli aveva rispetto per me, anzi: una forma di superstiziosa stima. Non avrebbe mai creduto che La dolce vita, un film che durava tre ore, fuori da tutti i suoi canoni, potesse fare tutti quei soldi! E con tutti quei riconoscimenti! Mi considerava una creatura misteriosa, come se avessi dei contatti con gli alieni, ma era perplesso di fronte alle mie proposte riguardanti altri. Rizzoli aveva una sua eleganza da personaggio disneyano, da Paperon de' Paperoni. Ero riuscito a convincerlo a permettere a Pier Paolo di fare dei provini. Mi ha messo su una piccolissima troupe e Pier Paolo ha (atto dei provini a Citti e ad altri Io non avevo bisogno di vedere se Pier Paolo era capace, sentivo che l'amore che aveva per il cinema, e il suo talento di narratore, e il suo modo di essere poeta e di essere artista, erano più che sufficienti, Purtroppo e accaduto quello che temevo, che questi provini sono stati fatti vedere. E sono cominciati i consigli, i suggerimenti, i pareri sfavorevoli, lo avrei dovuto avere più autorità, più convinzione; ma tutta questa campagna, e Fracassi soprattutto che mi diceva «tu con La dolce vita ti sei già alienato tante simpatie da parte del mondo cattolico» (ricorderete, immagino, i due pezzi che fece Scalfaro. Oggi presidente della nostra Repubblica, contro La dolce vita proprio sull'«Osservatore romano»: noi rimuoviamo tutto). E, aggiungeva, «adesso vuoi tenere a battesimo un personaggio come Pasolini...», lo riconosco la mia colpa, che è consistita in un allentarsi della voglia di combattere. Per i mici film avrei potuto averla fino alla fine, ma dover lottare per difermare dei nuovi autori propno dentro una società che aveva questo come suo scopo esclusivo. Poi mi chiamò Rizzoli, e cosi è finita. Questa piccola società, fatta cosi per gioco, aveva quell'anno in progetto cinque film, da me proposti, che finirono tutti a Venezia: Olmi, Il posto; Pasolini, Accattone; Bandito a Orgosolo, di De Seta; Un giorno da leoni di Nanni Loy. L'unica cosa in cui sono riuscito, è stata quella di far distribuire dalla Cineneriz un film spagnolo. El cochecito di Ferreri. Anche questo Rizzoli me l'ha rimproverato a lungo, ma sentendosi in colpa per aver bocciato gli alto progetti. El cochecito l'ha preso. Insomma, mi ero stufato, non era il mio mestiere... Ricordo anche un altro progetto mai realizzato. Il mulo e il cannone di Sonego, per cui c'erano già stati i sopralluoghi in Friuli. Se, invece di Fracassi, avessi avuto un Bini o un giovane Cervi, questi produttori un po' «mascalzoni» che hanno proprio l'unzione del cinema nel senso dell'avventura! (...) Era quel che ci sarebbe voluto in una società che nasceva con propositi un po' donchisciotteschi, goliardici, irresponsabili, da barca dei comici. Non per risentimento, ma perché capivo che si stava solo perdendo tempo, a un certo momento ho portato via con un camioncino aperto tutti i mobili. Di notte. Come per fargli fare un bagno rigeneratore di aria notturna. E li ho portati in un ufficietto a via Po, da Castellazzi, che era un'agenzia di attori, e da lì la mattina dopo ho telefonato a Fracassi. Alla Federiz avevamo le stanze comunicanti, aveva aperto la porta e aveva visto che non c'eravamo né io né i mobili ma, da uomo di classe, non mi ha detto niente.
- Le due figure di intellettuali di quegli anni che assumono oggi figure di protagonisti sono indubbiamente, appunto, Pasolini e Calvino, diversissimi fra loro, ma punti di riferimento (anche estremi: l'uno molto viscerale, l’altro molto laico)per la cultura italiana. Tu sei stato vicino a tutti e due...
- Fellini: Con Pier Paolo quest'amicizia c'è stato appunto modo di gestirla, consumarla, assaggiarla. C'era un affetto vero che è nmasto intatto anche dopo l'episodio di Accattone. Di Pier Paolo la cosa che mi ha colpito subito e quel qualcosa di predestinato che sentivi in lui, che ti comunicava. Portarlo in proiezione era una gioia. Si entusiasmava, magari anche per le code nere. Aveva una generosità che rendeva impossibile, conoscendolo, non volergli bene. E aveva sempre opinioni acute, penetranti, che mi servivano.
Federico Fellini su Pasolini, da “Io, un monello che ama trasgredire” in “L’Unità” 20 ottobre 1993, p.6
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