Pasolini a casa sua, Roma, 1973 © Ristuccia/Leemage/Belga Images/Tutti i diritti riservati
Che Le Mille e una notte siano opera esotica e fiabesca è un luogo comune che io contesto. C'è del magico, è vero, ma non è quello che conta. Conta invece, soprattutto, il realismo. Sotto la crosta stereotipa, sotto la finta mancanza di interesse psicologico vive sempre, in quasi tutti i racconti, la realtà storica precisa, interamente connotata. Basta ricordare, per esempio, gli elenchi delle vivande di ogni pasto descritto. Menù ricostruiti fino alla pignoleria, elencazioni di oggetti e di ambienti nei minimi dettagli, capaci di restituire intero il senso esistenziale della vita quotidiana. E ancora, i fatti sociali: una vita di relazione con regole raffinate e complicatissime: ogni atto è documentato, si dà conto fin dei gesti dei personaggi, delle frasi rituali di saluto e commiato. Insomma, anche se il testo non enuncia esplicitamente problemi sociali, protagonista resta comunque la società osservata con un rigore quasi etnologico.
Ecco, questa è la chiave in cui Pier Paolo Pasolini ha deciso di portare sullo schermo Le Mille e una notte. Sarà una terza variante del discorso che ho cominciato col Decameron e ho portato avanti con I racconti di Canterbury – dice – e cioè la terza parte di una specie di trilogia". Ma Boccaccio e Chaucer, pur diversi tra loro, erano entrambi occidentali.
L'autore di Le Mille e una notte, invece, come orientale, non fa capo a origini culturali, a un mondo del tutto estraneo al nostro? Falso – dichiara Pasolini – ognuna di queste opere fonda una letteratura, ognuna si pone nello stesso rapporto con il proprio mondo. Se riprendiamo il tema del realismo, troviamo poi che anche Boccaccio insiste minuziosamente sui pasti, il vino, il colore dell‟aria, la casa dove la gente abita, le parole che si dicono i personaggi al di fuori delle necessità del racconto e che sono messe lì soltanto a denotare, a materializzare una evidenza esistenziale.
Per ritrovare i luoghi e i popoli "reali" di Le Mille e una notte, la troupe di Pasolini percorrerà in due mesi Asia e Africa. Un itinerario di diecimila chilometri e più, attraverso paesaggi rimasti vergini nei secoli. Per trovarli tutti, a Pasolini non sarebbe bastato un anno di sopralluoghi. Ma per la maggior parte gli erano già noti, per esserci stato durante altri film, o in vacanza, o in viaggi di ricerca e di curiosità. Di questi luoghi, tutti lontani dalle piste turistiche, parliamo a casa sua, in una porzione di pomeriggio rubata ai frettolosi preparativi per la partenza imminente, nel silenzioso soggiorno dell'appartamento che il regista abita all'Eur. Una casa da letterato più che da artista, con pile di libri pericolosamente in bilico su ogni superficie orizzontale ma per il resto mobili sobri tirati a specchio e, unico oggetto che ricorda l'Oriente, un elefante di legno dipinto su ruote.
Un giocattolo per bambini, ma solo per bambini ricchi, dice. Quando parla siede immobile, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, il pugno della mano destra nel palmo della sinistra, un minuscolo anello d'oro con una pietra blu al mignolo. La sua voce è sempre uguale, precisa come un compasso.
Yemen Ma gli piace anche raccontare. Il blocco più ampio, la spina dorsale del film sarà ambientata nello Yemen del Nord: paesaggi desertici, d'altopiano, con orticelli e piccoli palmizi e prati d'orzo. E con le sue città incredibili, soprattutto due, Ghib e Ghibza, nel centro del paese. Sono rimaste intatte, perfettamente medievali. Hanno case anche di cinque, sei, sette piani, interamente di pietra, con piccole porte sormontate dalla croce di Giuda che ricorda le probabili antiche influenze ebraiche, e finestrelle arabe. I colori sono l'ocra e il bianco. Uno scenario che mi ha sempre fatto venire in mente Venezia, specialmente per come sono fatte le strade, calli che non finiscono nell'acqua ma nella sabbia del deserto. Una variante quasi altrettanto bella l'ho trovata poi nello Yemen del Sud. Le varianti – spiega – sono necessarie per ricreare quelle narrazioni a scatole cinesi – due, tre racconti contenuti uno nell'altro – che sono tipiche di Le mille e una notte. "Ogni volta bisogna cambiare città – dice – però mantenendo l'analogia. Nigeria Le Mille e una notte sono opera eterogenea. La stesura che possediamo è stata materialmente redatta da una sola persona, come testimoniano le ricorrenze del linguaggio e dei modi narrativi, ma restano lo stesso ben riconoscibili i tre diversi filoni culturali da cui nascono le storie: persiano, egiziano e indiano. Per di più i tempi dell‟azione sono storicamente distanti tra loro. Vi sono racconti che potrebbero risalire all'IX secolo e altri che sono certamente del Rinascimento (vi si parla perfino di cannoni). Ora io voglio mantenere questo carattere composito. Perciò cambierò continuamente luoghi, ambiente e anche costumi. Per esempio, ci saranno i costumi sontuosi e tutti inventati di Danilo Donati, sul genere di quelli della Medea, ma ci saranno anche quelli tradizionali locali, diciamo folcloristici, magari fatti con la macchina per cucire. E poi ci saranno i vestiti normali che la gente porta adesso. Questo in Nigeria, per esempio, dove filmerò diversi episodi, e precisamente a Cano. È nella fascia sudanese, dove la savana si trasforma in deserto, prima di arrivare a Lagos. Lì la popolazione è musulmana, ma nera".
A Cano si svolgeranno quasi tutti gli episodi apertamente comici del film, tra cui quello famoso di Dalila la furba. L'idea – dice Pasolini – è di restituire un comico settecentesco, mozartiano". L'accostamento tra Mozart e Le mille e una notte, aggiunge, non è arbitrario. È nell'enorme influenza che la raccolta ebbe nell'Europa dell'Illuminismo. Perché questo libro, a leggerlo oggi, non ripropone soltanto la civiltà araba, ma anche le suggestioni innumerevoli che ha lasciato in tutta la nostra letteratura, a cominciare dal pre-romanticismo dei razionalisti per arrivare poi fino al decadentismo e ancora, vorrei dire, fino a libri attuali come Le città invisibili di Italo Calvino". Dunque Le Mille e una notte come immenso serbatoio di suggestioni. Che peso avrà nel film, chiedo, l'inevitabile ricordo della suggestione che lo stesso Pasolini deve aver provato leggendo da giovane questi racconti arabi? Anch'io li ho letti per la prima volta molto tempo fa, forse trent‟anni fa – risponde –. Ricordo di averli acquistati in edizione ridotta, in quella famosa libreria di Bologna che si chiama il Portico della Morte. Certo, allora mi affascinarono. Però francamente rileggendoli ora, con lo scopo preciso di costruirne un film, non ne ho tratto una sensazione diversa. Voglio dire che anche allora le novelle fiabesche come La lampada di Aladino, che tra l'altro è certamente apocrifa, mi interessavano poco e andavo in cerca, del resto, della testimonianza storica, diretta. Eritrea Per ricreare il sapore del miscuglio geografico, il film dovrà inevitabilmente concedersi qualche violenza alla geografia. Per esempio, il ciclo di storie che hanno per protagonisti Harún ar-Rashíd e la regina Zobeida, che dovrebbero svolgersi in un paese arabo, sarà realizzato invece in Eritrea. Sull'Altopiano Etiopico – precisa Pasolini – tra la popolazione nomade dei Beni-Amer, un cosmo fatto di villaggi provvisori, attendamenti, bestiame. In Eritrea tra l‟altro ci aspettano a braccia aperte, sono fieri di ospitare una troupe italiana. Del resto in tutti questi paesi è facile lavorare. Non si pone mai nessun problema per avere permessi e aiuti dalle autorità e la gente collabora volentieri, divertendosi. Per esempio, so che nello Yemen del Sud, uno stato comunista continuamente minacciato dallo Yemen del Nord e dall'Arabia Saudita, avremo accoglienze entusiastiche. E anche in Persia, sebbene per ragioni contrarie, diciamo snobistiche. Persia In Persia Pasolini lavorerà a Isfahan. La ricordavo come una città stupenda e speravo di poterla usare per intero. Invece quando ci sono andato quest'ultima volta per i sopralluoghi ho trovato le ruspe che distruggevano le ultime case e le gru che erigevano sulle macerie una mediocre cittadina moderna. Per fortuna sono rimasti alcuni blocchi, monumenti, i bellissimi templi. Succede così in tutti i paesi in via di sviluppo, forse perché l'amore per i monumenti è una conseguenza del benessere economico. Ma Pasolini non si accontenta di questa spiegazione. Direi che succede così nei paesi che non sanno darsi una programmazione – ribatte – Italia compresa. E aggiungo che è un atteggiamento molto sciocco da parte dei governanti perché il patrimonio artistico ha un preciso valore economico. Prendiamo lo Yemen: un paese miserabile, senza miniere, senza petrolio, senza alcuna fonte di ricchezza. Il suo solo tesoro è l‟architettura, ma l‟architettura totale, cioè l‟insieme inserito nel paesaggio così com‟è. Se fosse governato con un minimo di lungimiranza, le città sarebbero intatte e anzi valorizzate, con la certezza che nel giro di pochi anni vi sarebbero ogni giorno quattro voli charter pieni di turisti con le tasche imbottite di dollari. India Tre brevi racconti che fanno parte di una quarta narrazione portante, rivivranno infine in India, nella zona tra Nuova Delhi e Bénarès. Ho scelto i dintorni di Agra e Fatehpur Sikri, dove c'è una popolazione mista musulmana-indù. La popolazione, infatti, avrà una parte non meno importante del paesaggio nel caratterizzare i luoghi. Tutti i personaggi saranno scelti sul posto tranne alcuni di particolare rilievo. Anche questi però non saranno attori: Pasolini li ha scritturati in Sicilia, nei paesi arabi e in Eritrea. Quando realizzò Medea, il regista dichiarò che la protagonista era nelle sue intenzioni il simbolo del Terzo Mondo, sconfitto a dispetto della sua vitalità e della sua intelligenza. Che cosa dirà sul Terzo Mondo Le Mille e una notte, che è basato su un testo fondamentale della cultura del Terzo Mondo stesso? Pasolini non sorride alla domanda. Del resto non sorride quasi mai. Lei sta dicendo che il film potrebbe risultare evasivo perché non affronta i problemi del Terzo Mondo. Io lo nego. Anzi la mia ambizione è proprio che questi problemi emergano in primo piano, anche se indirettamente. Che emergano dalla realtà fisica della gente vera che mostrerò: la prostituta, il muratore, il droghiere. Che emerga dalle loro case, dalle loro strade, dai loro cortili.
Resta il fatto che i primi film di Pasolini, da Accattone a Mamma Roma, erano sembrati a molti maggiormente calati in un discorso politico, graffiante sulla società, rispetto agli ultimi fastosi, bellissimi affreschi come Il Decameron. Qui il regista risponde duro: Non è vero che la mia opera recente sia più evasiva, più divertente della prima. Anzi, se devo dire la verità, personalmente io non mi sono mai più divertito tanto come a girare Accattone. Quanto alla denuncia politica, la questione è che in Accattone si parlava di sottoproletariato, e in questi due ultimi film si è parlato invece di umanità materiale senza etichette, e di sesso in particolare. Ma la gente crede, chissà perché, che il sesso sia un problema di terza, quarta categoria. Ecco, io invece penso che per un discorso in difesa della libertà, oggi, mostrare un membro maschile nudo o un ventre femminile nudo sia politicamente altrettanto importante che denunciare la miseria delle borgate romane. Non dico più importante o meno importante. Dico altrettanto: perché non amo le gerarchie.
Francesco Perego. Con Pasolini alla ricerca delle "Mille e una notte", Tempo illustrato, n. 8-9, Roma, 11 marzo 1973
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