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Immagine del redattoreCittà Pasolini

L'innocenza di Pasolini. Un'intervista di Enzo Biagi (1971)


Pier Paolo Pasolini durante le riprese del film Il Decameron © Mario Tursi/ Riproduzione riservata

«La mia vita», dice Pasolini, «e caratterizzata dal fatto che non ho perso nessuna illusione». Ha passato molti guai: denunce, processi, attacchi volgari, polemiche, e non s'è sentito neppure vittima dell'ingiustizia, «casi personali», spiega, «che non ho mai voluto generalizzare». I suoi libri suscitano sempre interesse, sono tradotti, discussi; i suoi film hanno un prestigio internazionale. Ma non vuole definirsi: «Scrittore o regista, come preferite voi». Pier Paolo Pasolini è una firma, un nome che conta. Di lui parlano i critici e la gente, manifesti e copertine. Però non è soddisfatto: «Il successo è l'altra faccia della persecuzione. Può esaltare al primo istante, può dare delle soddisfazioni, qualche vanità. Appena l'hai ottenuto, si capisce che è una cosa brutta per un uomo». Si batte (o si batteva?) contro l'ipocrisia, la mancanza di sincerità nei rapporti sociali, contro i tabù, le prevenzioni sul sesso, lo sfuggire alle realtà più crude. «Questo», risponde, «l'ho detto fino a dieci anni fa; adesso basta. La parola speranza è completamente cancellata dal mio vocabolario. Continuo a lottare per verità parziali, ora per ora, ma non mi pongo programmi a lunga scadenza. Diciamo: vivo un giorno per l'altro, senza quei miraggi che sono alibi, ecco». Vorresti sapere come gli piacerebbe sistemato questo pianeta, una sua immagine del domani.

« Per un momento, da ragazzo, ho avuto fede nella rivoluzione, come i giovani dì oggi. Ma ora comincio a crederci un po' meno in questa palingenesi. Vedo di fronte a me un mondo doloroso e sempre più squallido. Non ho sogni, quindi non mi disegno neppure una visione futura». Il discorso appare piuttosto deprimente, un orizzonte nero, ma non bisogna formalizzarsi: «Il grande pessimismo implica sempre un grande ottimismo, questo è certo, e viceversa», vi incoraggia. Ma insomma, Pier Paolo Pasolini cos'è? «Tendo sempre di più verso una forma anarchica, piuttosto che orientarmi sulla scelta di qualche partito. La borghesia sta trionfando, in quanto che la civiltà neocapitalistica è la sua vera rivoluzione. Anche il cittadino sovietico è un consumista». Allora, ha delle obiezioni da rivolgere ai comunisti? «Ma le ho sempre fatte: un eccesso di burocrazia, e l'avere permesso, all'interno del partito, atteggiamenti che sono borghesi: un certo perbenismo, un certo moralismo. Però continuo a votare per loro». Tentiamo, se è possibile, di spiegarci, o meglio, di intenderci. Pasolini ha scritto: « Sul piano esistenziale io sono un contestatore globale. La mia disperata sfiducia in tutte le società storiche, mi porta a una forma di anarchia apocalittica ». Da che parte sta? Perché è un personaggio tanto controverso? «La mia psicologia mi porta a deragliare dai codici, da qualsiasi codice. La figura che predomina nelle mie opere è il definire le cose per opposizione: ragazza bionda e mora, per esempio». Dice un suo amico, un vecchio compagno di scuola: «C'è in lui una specie di conflitto tra il letterato puro e alcune forme di protesta politica, perché si sente, ad essere solo uno scrittore, diminuito come persona». Come mai, un marxista come Pasolini si dichiara, trae molto spesso ispirazioni dal Vangelo o dalle testimonianze dei seguaci di Gesù? «Il mio sguardo verso le cose non è naturale, non è laico: ogni oggetto per me è miracoloso, ho una mia visione non confessionale, ma religiosa». Il Vangelo, forse, lo consola? «No non cerco conforto, cerco, umanamente, ogni tanto, qualche piccola gioia, qualche piccola soddisfazione. Ma le consolazioni sono sempre rettoriche sempre insincere, irreali. Per me il Vangelo è una grandissima testimonianza del pensiero, che integra, che rigenera. La consolazione e come la speranza, e non voglio sentirne parlane, perchè è un'evasione della coscienza, è un rimandare a domani ciò che si deve fare oggi. Cristo infatti dice: "Siate come i gigli dei campi e gli uccelli del cielo ", cioè pensate soltanto al tempo che state vivendo». Come si considera dunque: un mistico, un cinico, un introverso? Che atteggiamento s'impone per difendersi dalla curiosità del prossimo? Chi lo conosce dice che c'è in Pasolini una specie di ribellione interna, un fuoco intimo, ed è uno che sta per conto suo anche quando è in compagnia. «Per difendermi dalla curiosità degli altri, per ciò che riguarda l'esistenza quotidiana, non prendo nessuna misura, perché faccio esattamente quello che fanno tutti; per quello che si riferisce invece alla mia vita interiore, mi difendo da ogni intromissione, perchè è insopportabile, è qualcosa di alienante». Crede di avere dei nemici? «Non lo so, non li conto; sento ogni tanto delle ondate di ostilità, a volte inesplicabili. Ma non ho voglia di occuparmene molto». Chi sono le persone che ama di più? «Quelle che, se è possibile, non hanno fatto neanche la quarta elementare, e sono assolutamente semplici, non lo dico per enfasi: lo dico perché la cultura piccolo-borghese, almeno da noi, ma forse anche in Francia e in Spagna, è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a impurezze». Dacia Maraini ha scritto che l'angoscia è il suo stato naturale. Da che cosa deriva? «Mah, dai soliti traumi infantili. Può essere tipico l'eccessivo amore per mia madre, la rimozione della figura del padre nei primi anni di età, l'incomprensione tra i miei genitori, non la mancanza di affetto, perché si amavano, ma non si capivano, questa tragedia che ha provocato in me la tendenza ad una forma di nevrosi da angoscia, che però non si è mai esplicata. E' stata, semplicemente, un elemento sentimentale. Per questo, per me lo scrivere è soprattutto raggiungere un equilibrio». Non teme la vecchiaia? «Anzi. Con l'avanzare dell'età cala il futuro, calando il futuro calano i problemi, e quindi si è più allegri». Ha paura della morte? «Ne ho avuta molta a vent'anni. Ma era giusto, perché allora, intorno a me, venivano uccisi dei giovani, venivano uncinati. Adesso non l'ho più». A proposito: c'è una sua definizione degli appartenenti al Movimento studentesco piuttosto aspra: «Imberbi coronati di barb ». E durante un dibattito ha detto: «Siete figli di papà e io vi odio come odio i vostri padri». «Sì, lo ripeto; ma questo non riguarda i movimenti extraparlamentari, e i gruppi avanzati, ideologicamente carichi di tensione, come Lotta Continua e Potere operaio: riguarda la massa amorfa degli studenti». Il 18 ottobre prossimo, lo scrittore o regista, come preferite voi, Pier Paolo Pasolini siederà, con molti altri, sul banco degli imputati, alla Corte d'Assise di Torino. L'accusa è di avere incitato, quale direttore responsabile del periodico Lotta Continua, i militari a disobbedire, di apologia sovversiva e antinazionale, di istigazione a delinquere. Non conosco gli atti della Procura e non tocca ai giornalisti, per fortuna, emettere sentenze. Se Pasolini ha sbagliato, c'è di sicuro per lui l'attenuante dello slancio generoso, di una fondamentale innocenza, di una continua, tenace ricerca di qualcosa di meglio, di una strada più giusta. Lo provano anche la sua rabbia, il perenne contrasto con se stesso, la solitudine, una sofferenza che non trova e non vuole rifugi o sostegni. E' un uomo che non pensa al domani.


Enzo Biagi. L'innocenza di Pasolini, La Stampa, 27 luglio 1971, p.3.

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