Pasolini nel suo appartamento di Monteverde Nuovo, via Fonteiana, 86 © Archivio storico Istituto Luce Cinecittà/Riproduzione riservata
Lungotevere: la luce del tramonto colora diffusamente l’acqua e gli alberi immensi e l’asfalto dove corrono i tram. Sull’orizzonte, nel limpido arrossamento del cielo si scorgono le cupole delle chiese.
Sarebbe inutile scrivere su un bollettino turistico: “Venite a godere il magnifico tramonto di Roma”; perché solo chi, in qualche modo, è di casa, può sentire la quiete di quelle mura fuori tempo, può immaginare festosamente altre strade della città, il loro traffico serale, può intendere il senso de certe voci che si chiamano nell’aperto dialetto. Sul greto del Tevere si rincorrono i ragazzini: hanno nel gioco l’antica sapienza che non si insegna, stanno così, mezzi ignudi tutto il giorno. Non sanno certo di possedere anch’essi il loro poeta, chi ha tentato di rappresentare il loro mondo selvaggio e infantile. È tardi, i fanali cominciano ad accendersi, le trattorie si animano. Corro tuttavia al primo telefono: «Potrei vederla questa sera, vorrei parlare di...». «Bene l’aspetto». Prendo un taxi, che parte pigramente verso via Fonteiana, dove abita Pier Paolo Pasolini.
L’autore di Ragazzi di vita non è romano: è nato nel Friuli trent’anni or sono, ha studiato, oggi è un agguerrito filologo e i suoi interessi di studioso si sono appuntati soprattutto sulla letteratura e sulla poesia popolare italiana. Anche some scrittore e poeta Pasolini si innesta sul filone che conduce a Belli e a Porta. Quando si è stabilito a Roma, è stata come una seconda adolescenza: proprio nei ragazzi, nei “fiumaroli” ha creduto di scoprire la vena più segreta e spontanea di una poesia ancora da scrivere. Così è nato il suo primo romanzo, che ha suscitato infinite polemiche: giudicato da alcuni bellissimo, da altri, molti per la cronaca, sbagliato e decadente. È certo ad ogni modo che Pasolini è un autore letteratissimo e raffinato: basta parlarci una volta per accorgersene. Lo dimostra dicendo subito a noi, che a lui tentare una sintesi del recente passato letterario, come gli chiediamo, sembra «roba da rivistine provinciali o da articoli giornalistici»; lo dimostra quando afferma a proposito della sua posizione di scrittore: «io vendo sempre da sinistra».
Piccolo di statura, con un viso intento e due occhi molto vivaci, Pasolini non tradisce di primo acchito la sua natura di letterato; lo diresti un compagno cresciuto dei suoi personaggi, pieno come loro di fantasia e di voglia di vivere, arricchito da molte “civiltà” di pensieri e di modi. A chi quel suo romanzo è piaciuto possiamo dire che ora Pasolini ne sta preparando un secondo che può considerarsi la continuazione ideale di quello. «La vicenda si svolge nello stesso ambiente di Ragazzi di vita, ma il protagonista questa volta è uno solo. Si tratta di un giovane, non sano, pieno di complessi, con una difficile storia spirituale. Vorrei dal largo rilievo alle sue avventure politiche, illuminare l’inquieta ricerca della sua coscienza, attraverso diverse fedi: prima il fascismo por la democrazia cristiana, infine il comunismo. Il romanzo si concluderà pessimisticamente: la morte fisica del protagonista sarà come un simbolo».
Molte polemiche
Dato le molte polemiche suscitate dal linguaggio eccessivamente dialettale di Ragazzi di vita, gli chiedo se intenda seguire la stessa strada anche nel futuro. «Ho seguito con attenzione quando si è detto intorno al mio libro: posso dire che io avevo tentato di annullare il mio io nella narrazione, anche attraverso la lingua. Per simpatia umana coi miei personaggi è nata anche una simpatia linguistica». Come scrittore Pasolini tenta del resto una strada abbastanza personale e interessante, è lui stesso che chiarisce le ragioni della sua scelta, attraverso questa convinzione critica: «Oggi esistono come due grandi filoni, in senso generico, s’intende, i novecentisti, da una parte, e, dall’altra i comunisti. I primi si legano al movimento vitalistico della nostra letteratura intorno alla prima guerra mondiale, i comunisti invece pur nello sforzo ammirevole che compiono per formarsi una loro tematica, e anche una lingua, come scrittori, sono tuttavia respinti vent’anni indietro dalle esigenze moralistiche cui soggiacciono. Fuori di questi due poli io ho tentato e continuo a sforzarmi nella ricerca di una forma più individuale di espressione, più faticosa, se vogliamo, perché non sorretta da altro che da certe forze della tradizione, anch’esse elette per gusto individuale».
Tra il regionalismo e l’europeismo, i dei limiti in cui si muove gran parte dell’attuale narrativa italiana, Pasolini pensa si debba cercare un giusto equilibrio, cioè un inserimento o meglio un’osmosi fra i due opposti, evitando di cadere nel provincialismo, o per converso, nel falso cosmopolitismo. È piuttosto difficile riferire organicamente quanto Pasolini, pur riluttante, ci confida: non tanto perché egli manchi di chiarezza, bensì per una certa sufficienza che vi mette, mascherandola sotto lo scherzo di una battuta. «Non credo – ci dice per esempio - che il romanzo possa oggi considerarsi il mezzo più idoneo per una totale rappresentazione della realtà. Oppure sì. A seconda del romanzo». E conclude: «Non la faremo mica questione di genere, spero». Ci piace provocarlo, proprio su questo terreno, così azzardiamo la domanda: Lei si stima uno scrittore realista? Pasolini pronto risponde: «Se a definirmi realista fosse un imbecille rifiuterei di esserlo, se mi definisce tale un uomo intelligente accetterei. Se quell’imbecille fosse un comunista, rifiuterei lo stesso: ma rifiuterei con infinito maggiore disgusto se fosse un fascista. Se quell’uomo intelligente fosse un comunista, accetterei con gioia: se fosse un cattolico riprenderei in esame la mia opera con grande interesse».
Dietro la scherzosa contorsione di questo discorso, il lettore indovina facilmente la direzione dei pensieri di Pasolini, i suoi amori e le sue repulsioni: da quasi dieci anni del resto, questo scrittore lavora indefessamente, come critico, come saggista, come narratore, e come poeta: il suo romanzo, le sue raccolte di poesie, le antologie da lui curate, la rivista “Officina” che da circa due anni dirige, sono le prove concrete del suo impegno di artista e si studioso. Pasolini mi intrattiene cordialmente, versando il caffè, mi ha colpito la macchina da scrivere, posta sulla scrivania: una specie di colibrì, piccola quasi come una fotografica: « Sono otto anni che ci scrivo, di lì è uscita ogni mia parola, e non si è fermata mai». E ha nel sorriso una compiacenza che non contraddice quando si è cercato di dire del suo profilo di letterato.
Pier Francesco Listri. La vena segreta di Pier Paolo Pasolini. Libri e scrittori dell’ultimo decennio, Tempo (1955)
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