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"Le belle bandiere", una poesia di Pier Paolo Pasolini (1962)

Aggiornamento: 17 apr 2023


Pier Paolo Pasolini immortalato da Anatole Saderman (1962-1965) © A.Saderman/Riproduzione riservata


I sogni del mattino: quando il sole già regna, in una maturità che sa solo il venditore ambulante, che da molte ore cammina per le strade con una barba di malato sulle grinze della sua povera gioventù: quando il sole regna su reami di verdure già calde, su tende stanche, su folle i cui panni sanno già oscuramente di miseria - e già centinaia di tram sono andati e tornati per le rotaie dei viali che circondano la città, inesprimibilmente profumati,

i sogni delle dieci del mattino, nel dormente, solo, come un pellegrino nella sua cuccia, uno sconosciuto cadavere - appaiono in lucidi caratteri greci, e, nella semplice sacralità di due tre sillabe, piene, appunto, del biancore del sole trionfante - divinano una realtà, maturata nel profondo e ora già matura, come il sole, a essere goduta, o a fare paura. Cosa mi dice il sogno mattutino? "il mare, con lente ondate, grandiose, di grani azzurri, si abbatte, lavorando con furore uterino, irriducibile, e quasi felice - perché dà felicità il verificare anche l'atto più atroce del destino - sgretola la tua isola, che ormai è ridotta a pochi metri di terra..." Aiuto, avanza la solitudine! Non importa se so che l'ho voluta, come un re Nel sonno, in me, un bambino muto si spaventa, e chiede pietà, si affanna a correre ai ripari, con un'agitazione che "la virtù dismaga", povera creatura. Lo atterrisce l'idea di essere solo come un cadavere in fondo alla terra. Addio, dignità, nel sogno, sia pur mattutino! Chi deve piangere, piange, chi deve aggrapparsi alle falde delle vesti altrui, si aggrappa, e le tira, le tira, perché si voltino quelle facce colore del fango, e lo guardino negli occhi terrorizzati per informarsi della sua tragedia, per capire quanto sia spaventoso il suo stato! Il biancore del sole, su tutto, come un fantasma che la storia preme sulle palpebre col peso dei marmi barocchi o romanici.... Ho voluto la mia solitudine. Per un processo mostruoso che forse potrebbe rivelare solo un sogno fatto dentro un sogno... E, intanto, sono solo. Perduto nel passato. (Perché l'uomo ha un periodo solo, nella sua vita.) Di colpo i miei amici poeti, che condividono con me il brutto biancore di questi Anni Sessanta, uomini e donne, appena un po' più anziani o più giovani sono là nel sole. Non ho saputo avere la grazia per tenermeli stretti - nel'ombra di una vita che si svolge troppo attaccata all'accidia radicale della mia anima. La vecchiaia, poi, ha fatto di mia madre e di me due maschere che nulla hanno peraltro perduto della tenerezza mattutina - e l'antica rappresentazione si ripete nell'autenticità che solo sognando dentro un sogno, potrei forse chiamare col suo nome. Tutto il mondo è il mio corpo insepolto, Atollo sbriciolato dalle percosse dei grai azzurri del mare.

Cosa fare, se non, nella veglia, avere dignità? E' giunta l'ora dell'esilio, forse: l'ora in cui un antico avrebbe dato realtà alla realtà, e la solitudine maturata intorno a lui, avrebbe avuto la forma della solitudine. E io invece - come nel sogno - mi accanisco a darmi illusioni, penose, di lombrico paralizzato da forze incomprensibili: "ma no! ma no! è solo un sogno! la realtà è fuori, nel sole trionfante, nei viali e nei caffè vuoti, nella suprema afonia delle dieci del mattino, un giorno come tutti gli altri, con la sua croce!" Il mio amico dal mento di papa, il mio amico dall'occhio marroncino... i miei cari amici del Nord fondati su affinità elettive dolci come la vita - sono là, nel sole. Anche Elsa, col suo biondo dolore, lei - destriero ferito, caduto, sanguinante - è là. E mia madre mi è vicina... ma oltre ogni limite di tempo: siamo due superstiti in uno. I suoi sospiri, qua, nella cucina, i suoi malori a ogni ombra di degradante notizia, a ogni sospetto della ripresa dell'odio del branco di goliardi che ghignano sotto la mia stanza di agonizzante - non sono che la naturalezza della mia solitudine. Come una moglie messa nel rogo col re, o sepolta con lui in una tomba che se ne va come una barchetta verso i millenni - la fede degli Anni Cinquanta, è qui con me, già leggermente oltre i limiti del tempo, a farsi sgretolare anch'essa dalla pazienza furibonda dei grani azzurri del mare. E... i miei amori di pura sensualità, replicati nelle valli sacre della libidine, sadica, masochista, i calzoni con la loro sacca tiepida dove è segnato il destino di un uomo - sono atti che io compio solo in mezzo al mare stupendamente sconvolto. Piano piano le migliaia di gesti sacri, la mano sul gonfiore tiepido, i baci, ogni volta a una bocca diversa, sempre più vergine, sempre più vicina all'incanto della specie, alla norma che fa dei figli teneri padri, pian piano sono divenuti monumenti di pietra che a migliaia affollano la mia solitudine. Attendono che una nuova ondata di razionalità, o un sogno fatto nel fondo di un sogno, ne parli. Così mi desto, ancora una volta: al tavolo di lavoro. La luce del sole è già più matura, i venditori ambulanti più lontani, più acre, nei mercati del mondo, il tepore della verdura, lungo viali dall'inesprimibile profumo, sulle sponde di mari, ai piedi di vulcani. Tutto il mondo è al lavoro, nella sua epoca futura. *

Ma quel qualcosa di "bianco" che a lettere greche mi presentò, irrevocabile, il sogno conoscitore, mi rimane addosso - vestito, al tavolo di lavoro. Marmo, cera, o calce nelle palpebre, agli angoli degli occhi: il bagliore gioiosamente romanico, perdutamente barocco, del sole nel sonno. Di quel biancore fu il sole vero, di quel biancore furono i muri delle fabbriche, di quel biancore fu la stessa polvere (nei pomeriggi secchi, quando il giorno prima è un poco piovuti), di quel biancore furono gli stracci di lana, le giacchettacce bige e i calzoni sfilacciati degli operai che avrebbero potuto essere ancora partigiani: di quel biancore fu la calura della nuova primavera, oppressa dal ricordo di alre primavere sepolte nei secoli in quegli stessi sobborghi e paesi, - e pronte, Dio!, pronte a rinascere, su quei muretti, su quelle strade. Su quei muretti, su quelle strade, imbevuti di strano profumo, dove fiorivano rossi nel tepore i meli,i ciliegi: e il loro colore rosso aveva una brunitura, come se fosse immerso in un'aria di caldo temporale, un rosso quasi marrone, ciliege come prugne, pometti come susine, che occhieggiavano, tra le brune, intense trame del fogliame, calmo, quasi la primavera non avesse fretta, volesse godersi quel tepore in cui fiatava il mondo, ardente, nella vecchia speranza, di una nuova speranza. E, su tutto, lo sventolio, l'umile, pigro sventolio delle bandiere rosse: Dio ! , belle bandiere degli Anni Quaranta! A sventolare una sull'altra, in una folla di tela povera, rosseggiante, di un rosso vero, che traspariva con la fulgida miseria delle coperte di seta, dei bucati delle famiglie operaie - e col fuoco delle ciliege, dei pomi, violetto per l'umidità, sanguigno per un po' di sole che lo colpiva, ardente rosso affastellato e tremante, nella tenerezza eroica d'un immortale stagione!




Pier Paolo Pasolini 'Le belle bandiere' Per la prima volta su Vie Nuove (27.12.1962) poi in 'Poesia in forma di Rosa' Garzanti, Milano (1964)

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