Il sole declinante l'investe cadendola: e sembra denudarla.
È una vera nudità, oscena, quella che si stende lungo
il mare scolorito, sopra il lembo giallastro dell'arenile. È
una nudità morta: non si sente infatti una voce, un grido,
un suono.
Pier Paolo Pasolini[1]
Pasolini. Se torno (Si je reviens) Ernest Pignon-Ernest, 2015
Roma, domenica 2 novembre 1975. La città, e tutta l’Italia, si sveglia con una terribile notizia trasmessa dal giornale radio: Ammazzato lo scrittore Pier Paolo Pasolini.[2]
È bastato poco tempo perché la voce della morte dello scrittore si diffondano in tutta la zona, all'estrema periferia di Ostia, uno scenario pieno di casupole, baracche, costruzioni abusive che pullulano alla rinfusa fra le dune di sabbia. Il corpo di Pasolini sta in mezzo ad una stradina non asfaltata, che s'immette sulla Via dell'Idroscalo, appena 23 chilometri dalla sua casa a Via Eufrate 9.
Non sono passate ancora due ore dalla scoperta del cavadere del poeta, che una folla di curiosi circondano già il luogo del delitto. Un atteggiamento irresponsabile per il quale gli agenti incaricati non procedono alla recinzione del luogo dell’omicidio, permettendo a curiosi e passanti di avvicinarsi al corpo, con un inevitabile inquinamento delle prove.[3] Arrivano i primi giornalisti come Lucia Visca[4] o Furio Colombo[5], e si documenta lo scenario del delitto con diversi servizi fotografici. Verso le 10 del mattino arriva anche Ninetto con le guardie sul piazzale dell'idroscalo. Si sentivano delle gride: Ma chi è quer fijo de na mignotta che ha scaricato 'sta monnezza sotto casa mia?. La monnezza, in quel mucchio di stracci insanguinati Davoli riconosce Pier Paolo Pasolini.[6]
Nel 1975 l’idroscalo di Ostia è un lembo desolato. Qui, nell'estate dell'anno precedente, sono state girate alcune delle scene più allegre e sensuali del film Il fiore delle Mille e una notte.[7] Invisibili, dietro un ammasso di cancellate, muretti, immondezzai, si distendono i quartieri di casette, a destra gli ultimi palazzoni e i cantieri giganteschi di Ostia; a sinistra quelli più lontani e più miseri di Fiumicino. Davanti il mare, controluce, d'una tristezza infinita.[8]
La foce del fiume che attraversa Roma e sulle cui sponde un tempo sorgeva Ostia antica viene identificata da Dante come il luogo in cui le anime attendono di essere trasportate dall'angelo nocchiero verso la spiaggia del Purgatorio, versi che a modo di antefatto fanno parte della sceneggiatura scritta da Pasolini del film Ostia, diretto da Sergio Citti nel 1970:
Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto
dove l'acqua di Tevero s'insala,
benignamente fu' da lui ricolto.
A quella foce ha elli or dritta I' ala,
però che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala.[9]
L'Inferno di Ostia [10] è un posto lontano, freddo, squallido, di color granatina. Le descrizioni del luogo fatte dallo stesso Pasolini ci fanno venire la pelle d’oca: Le pareti delle case rivolte al sole cadente, sono di un rosa o di un giallo atroce: cadaverico, appunto [...] L'orizzonte dentellato posa - nudo e morto - nella luce spietata.[11]
Nelle poesie dei primi anni Sessanta aveva descritto questo luogo avvicinandolo a città litorali come Ravenna o Bombay[12]. La borgata gli appariva allora portatrice di valori reali, quindi di felicità e di povertà, proprio perché conservava i tratti umanamente qualificanti degli ambiti regionali dai quali i suoi abitanti provenivano:
I processi di trasformazione che Pasolini vive drammaticamente sono qualificati come «rivoluzione» o «mutazione» antropologica e si dispiegano nel passaggio traumatico dal particolarismo regionale e gratificante delle culture contadine e delle sottoculture di borgata ad un modello irrompente improvvisamente («negli ultimi dieci anni», «da due o tre anni») in forma di deidentificazione umana, di distruzione della «felicità» e dell'equilibrio che garantivano l'uomo nella sicurezza materna dei mondi arcaici.[13]
È questo il contesto in cui devono leggersi servizi fotografici di Pasolini in questa zona come quelli dei primi anni Sessanta fatti dal fotografo americano Jerry Bauer. Pasolini cammina in mezzo a questo luogo degradato, attorno ci sono materassi marciti, lavandini spaccati, vetri rotti, mattoni sbriciolati, tavole di legno. Sorride e guarda l’obiettivo della macchina fotografica: dove il paesaggio del presente che sta ingiallendo, un paesaggio violento, meridionale, idealmente appartenente all’area del Terzo Mondo.[14]
Anni dopo le descrizioni che Pasolini farà di questo luogo racconteranno un processo di degrado che è in atto: Dunque io mi sto adattando alla degradazione e sto accettando l'inaccettabile [...] Le amate facce di ieri cominciano a ingiallire:[15]
In quanto regista ho visto invece, in mezzo a tutto questo, la presenza «espressiva», orribile, della modernità: una lebbra di pali della luce piantati caoticamente - casupole di cemento e bandone costruite senza senso là dove un tempo c'erano le mura della città - edifici pubblici in uno stile Novecento arabo spaventoso, eccetera.[16]
Una degradazione urbanistica che si estende alla degradazione sociale. Nei suoi diversi interventi sulla mutazione antropologica Pasolini aveva indirizzato la sua critica verso la criminalità, poiché la «malavita» gli interessava: solo in quanto i suoi rappresentanti sono umanamente mutati rispetto a quelli di dieci anni fa[17]:
La criminalità italiana è un fenomeno imponente e primario della nuova condizione di vita italiana. Non solo i criminali veri e propri sono una "massa": ma ciò che più conta, la massa giovanile italiana tout court (eccettuate piccole élites, e in genere i giovani iscritti al PCI) è costituita ormai da criminaloidi.[18]
Oggi «si deve uccidere», voi non avete idea in quanti siano a crederlo. La morte è un comportamento di massa.[19]
La notizia della morte di Pasolini corre come polvere da sparo. L’attività nelle redazioni dei giornali e la tv è frenetica. Appena conosciuta la notizia scoppia lo sconcerto con l’arrivo delle prime foto. Che fare? I documenti che arrivano in redazione sono terrificanti, il cadavere di Pasolini maciullato, i blue jeans aperti davanti, il torace stracciato, la faccia nel fango.[20] I giornalisti devono scegliere velocemente cosa fare di questo materiale. Finalmente si decidono a pubblicare le foto meno oscene: Poiché la fotografia […] non è solamente un’immagine prodotta da un atto, è anche, prima di tutto il resto, un vero atto iconico “in sé”, è consustanzialmente un’immagine-atto.[21]
La sera, alle 20.30, il conduttore del telegiornale Marco Raviart, informa gli italiani dell’omicidio. Nello schermo dietro al conduttore del TG appare già l’immagine, ormai iconica, con in basso il cadavere dello scrittore coperto da un lenzuolo. È qualcosa di disumano. La notizia dell'assassinio di Pasolini si diffonde con rapidità suscitando incredulità, sgomento e commozione. Il giorno dopo, il 3 novembre, queste immagini hanno diffusione su giornali e riviste in tutto il mondo. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
Il rapporto del medico legale che fece l’autopsia, riportato dall’ANSA e ribadito al processo di primo grado contro Pino Pelosi, è scioccante. Il professor Durante è di una chiarezza assoluta:
Il cadavere stava bocconi, le braccia sanguinanti, la fronte lacerata, la faccia deformata, gonfia e nera di lividi, di ferite. Le dita della mano destra fratturate e tagliate, la mascella sinistra fratturata, le orecchie tagliate, quella sinistra strappata via, ferite ovunque sul corpo, un’orribile lacerazione tra collo e nuca, dieci costole fratturate, come pure lo sterno. Sono ferite incompatibili con il bastone fradicio e la tavoletta, ma non sono mortali. Pasolini viene ucciso passandogli sopra con un’auto più volte, con conseguente “scoppio del cuore”. Una matanza, con una ferocia inumana.[22]
Una busta che contiene 55 fotografie del corpo martoriato di Pasolini, del cadavere sfigurato, dove il poeta appare sotto le luci al neon della morgue di via Cesare de Lollis, lo storico Obitorio di Roma, è nelle mani del settimanale «l’Espresso». Sotto il titolo Massacro di un poeta, l’11 febbraio del 1979, questo materiale vede la luce. Molti lettori scrivono infuriati al direttore. Il settimanale giustifica la sua decisione sostenendo di proiettare una luce atroce ma viva. Queste fotografie avrebbero più forza di qualunque requisitoria o sentenza: L’aspetto del povero corpo martoriato rivela, assai più del linguaggio dei periti di tribunale, la violenza con la quale fu stroncato il poeta in quella notte del 2 novembre. [23]
Stessa argomentazione addottata dai curatori della mostra con gli oggetti, repertati durante le indagini sull'omicidio nel 2015 (custoditi nel Museo Criminologico via del Gonfalone di Roma dal 1985). Così riferito dal ministro della Giustizia di allora: Credo che l'allestimento renda, nella sua crudezza e brutalità, esattamente lo spaccato di un momento storico che ha segnato molto in negativo la vita civile e culturale del nostro Paese.[24]
Due anni dopo la pubblicazione di «L’Espresso» Dario Bellezza decide di scrivere un libro su Pasolini. Tra i fatti che lo spingono a farlo, nonostante avesse detto di non voler scrivere sul suo amico, è l’orrore provato per la pubblicazione delle oscene foto del poeta sull’Espresso:
Queste foto furono strappate al segreto istruttorio, ai gabinetti di medicina legale, agli obitori, e «L'Espresso» le mostrò in un numero del febbraio 1979 in tutta la loro gelida disarmante crudezza. Pubblicazione scandalistica [...] Nessuno protestò per quelle foto esibite in pubblico, in faccia ai borghesi contenti di dirsi: “Così è morto quel cane...”. Nessuno si è chiesto chi poteva averle trafugate; come mai sono arrivate sul tavolo dei redattori di quel settimanale.[25]
Pasolini, in queste cronache, muore un’altra volta. Il misfatto che è stato compiuto verso di lui, di mostrare queste foto ripugnanti non vuole ricordare il poeta, che dovrebbe essere sacro, sennò farlo diventare di nuovo un caso clinico[26], patologico.
Per la destra è stato un simbolo, da esecrare senza mezzi termini. Anomalo sessuale, psicopatico pericoloso, così veniva definito abitualmente. E così viene descritto pochi giorni prima del processo di Latina, da una agenzia di informazioni, Stampa Internazionale Medica, che distribuì ai giornali una relazione su Pasolini compilata per incarico della parte civile del professor Aldo Semerari, che non aveva mai incontrato il poeta:
Esiste una grave anomalia del nucleo istintivo della personalità, dall’altra una condotta grossolanamente incomprensibile [...] Ne scaturisce la necessità di sottoporre il soggetto ad accertamenti tecnici al fine di stabilire se l’anomalia sessuale di cui Pasolini è affetto riveste o meno il carattere della “infermità” prevista dagli artt.88 e 89 del Codice Penale.[27]
È così che l’individuo viene ridotto a un corpo, da essere umano a strumento: la sua trasformazione in un oggetto simbolico da sfregiare o in un ostacolo contingente da eliminare.[28]
Uno degli esempio paragigmatico fu quello del Che Guevara, Il 10 ottobre 1967, una ventina di giornalisti e quattro fotografi si recarono a Vallegrande a bordo di un aereo dell'aeronautica boliviana per testimoniare pubblicamente la sua morte. Pochi giorni dopo, la fotografia del cadavere, circondato da soldati, esposto sul lavabo di cemento della lavanderia dell'ospedale di San Juan de Malta, fu riprodotta dalla stampa mondiale. Questa immagine, prodotta per avvalorare la morte del leader della guerriglia, raggiunse un potenziale politico senza precedenti. Per questo motivo, non solo alla luce del suo specifico valore informativo e documentario, è stata fondamentale per riflettere sul potere delle immagini, sulla loro efficacia nel trasmettere determinati significati e anche sulla loro versatilità e disponibilità a veicolare idee.[29]
In seguito al omicidio di Pasolini, ci fu il rapimento e la morte di Aldo Moro. La pubblicazione delle foto dei loro cadaveri sarebbe giustificata: Il caso Moro era di tale evidenza pubblica che non poneva limiti alla pubblicazione. Per il cadavere di Pasolini la leggitimità di pubblicazione era quella di mettere in dubbio che fosse stata una sola persona ad uccidere il poeta.[30] Ciò che viene colto dai dispositivi di ripresa è proprio l’ultimo atto del processo di degradazione del potente “sovrano” al rango di “creatura” certificato, come si vedrà, dalle Polaroid scattate durante la prigionia dell’uomo politico dagli stessi brigatisti.[31]
Conosciamo il nome dei fotografi Gianni Giansanti e Rolando Fava dell’ANSA[32]. E sappiamo anche che la fuga di foto che riguardavano lo statista democristiano fu punita perché pubblicare le fotografie relative a una autopsia giudiziaria, coperta, per giunta dal segreto istruttorio e dal conseguente divieto di pubblicazione [...] perché inidonee ad arrecare un qualsiasi contributo all’approfondimento della tragedia.[33] Per Pasolini nulla.[34]
Nel 2015 questo servizio fotografico che ritrae Pasolini nella morgue viene ripubblicato e ampliato perché anche Pasolini nella sua instancabile e ossessiva ricerca della verità lo avrebbe voluto, perché come ha detto uno dei testimoni. Ma siamo sicuri? Questa polemica tra libertà di espressione e d’informazione e rispetto per la morte, per quanto riguarda l’uso della fotografia è stato ampiamente discusso. È necessario vedere le foto dei cadaveri e dei villaggi distrutti per capire cos’è la guerra? Oppure vedere le fotografie dei poveri bambini indiani per capire cos’è la fame?[35]
Essendo la morte l’atto più privato dell’essere umano quando le comunicazioni di massa la spetacolarizzano fanno quasi sempre riferimento al corpo. È stato così per Pasolini. Un corpo in tensione dialettica fra l’oggettività e la soggettività corre sempre il rischio di essere trasformato in un oggetto indifeso, soprattutto se la morte è stata violenta. Diventa quindi un oggetto consumabile:
Le fotografie di quei corpi rappresentano il vero risultato di un dominio non più mascherato del vitalismo acritico e irriflessivo della cultura di massa sul cadavere spettacolarizzato e sull’evento che fa paura. Un dominio che non induce ad alcuna forma di riflessione, ma che al contrario la respinge e la cancella, per esorcizzare angosce individuali attraverso rituali collettivi a poco prezzo.[36]
Ancora oggi possiamo vedere, acquistare, pubblicare le fotografie del cadavere di Pasolini prima dell’autopsia. Sono diverse le agenzie che le offrono, in bianco e nero a colori. Possiamo anche condividerle sui social che se vengono denunciate, Meta considera che non rappresentano violenza, no violano le sue regole. Invece scatti dei film della Trilogia della vita oppure di Salò saranno denunciati come pornografia. Nessuna pietà per Pasolini.
Silvia Martín Gutiérrez. Le foto del corpo senza vita di Pasolini: tra dovere di cronaca e orrore, Città Pasolini, 08 novembre 2024.
[1] Pasolini, P.P. Ostia, 1970, in Sceneggiature (e trascrizioni), in Id., Pasolini. Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, vol. II, Milano, Mondadori, 2001, p.2428.
[2] Bini, A. I primi passi del regista Pasolini, in «L'Europeo», 28 novembre 1975, p.52.
[3] Marazzita, N. Indagini sullassassinio di Pasolini, in «La Stampa», 10 novembre 1975, p.2.
[4] Anonimo. Visca, la morte di Pasolini rimarrà mistero, a nessuno importava, in «ANSA»,, 2 novembre 2024, in https://www.ansa.it/lazio/notizie/2024/11/02/visca-la-morte-di-pasolini-rimarra-mistero-a-nessuno-importava (ultimo accesso: 8 novembre 2024)
[5] Bianconi, G. Lo scrittore uccisso. Pasolini, i Servizi e il depistaggio dell’unico colpevole, in «Il Corriere della Sera», 21 luglio 2024, p.19.
[6] Davoli, N. Il mio amico Pier Paolo Pasolini (Come Ninetto Davoli ricorda il poeta), in «Stampa Sera», 25 Ottobre 1976, N.231, p.3.
[7] Naldini, N. Pier Paolo Pasolini. Lettere 1955-1975, Cronologia, vol. II, Torino, Einaudi, 1986, p.CXXVI.
[8] Pasolini, P.P. Ostia, 1970, cit., p.2429.
[9] Ivi., p.2373.
[10] Ivi., p.2430.
[11] Ivi, pp. 2428-2429.
[12] Nella prima versione della poesia, Ostia, o Tangiore a Mahalapuram. Pasolini, P.P. Una disperata vitalità, 1964, cit., p.1182.
[13] Di Nola, A.M. Pasolini e l’antropologia. I mondi arcaici, in «La Stampa», 3 gennaio 1976, p.3.
[14] Millo, A. La poesia secondo Pier Paolo, in «La Repubblica», 24 febbraio 1990.
[15] Pasolini, P.P. Abiura della Trilogia della vita, 15 giugno 1975, in «Il Corriere della Sera», venerdì 9 novembre 1975, in Lettere luterane, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p.603.
[16] Pasolini, P.P. Impotenza contro il linguaggio pedagogico delle cose, 17 aprile 1975, in «Il Corriere della Sera», , in Lettere luterane, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p.573.
[17] Pasolini, P.P. Fuori dal Palazzo, in «Il Corriere della Sera», 1º agosto 1975, in Lettere luterane, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p.573.
[18] Pasolini, P.P. Pannella e il dissenso, in «Il Corriere della Sera», venerdì 18 luglio 1975, in Lettere luterane, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p.608.
[19] Pasolini, P.P. in Colombo, F. Oggi sono in molti a credere che c 'è bisogno di uccidere, A colloquio con lo scrittore sei ore prima della morte. L'ultima intervista di Pier Paolo Pasolini destinata a "Tuttolibri", La Stampa, 3 novembre 1975, copertina.
[20] Bersani, L. In Bruzzone, M.g. L’avventurosa storia del TG in Italia, Milano, BUR, 2002, p.197.
[21] Dubois, P. L’atto fotografico, Urbino, Quattro Venti, 1996, p.59.
[22] Bellezza, D. Morte di Pasolini, Milano, Mondadori, 1981, pp.104-105.
[23] Rodotà, C. Massacro di un poeta, in «L'Espresso», 11 febbraio 1979, pp. 18-21.
[24] Orlando, A. Pier Paolo Pasolini. In mostra gli oggetti ritrovati sul luogo del delitto, in Rai News.it, 30 ottobre 2015.
[25] Ivi, pp.7-8.
[26] Semerari, A. Il proettile d’oro, in Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di L.Betti, Milano, Garzanti, 1977, pp.125-127.
[27] Ivi, p.127.
[28] Smargiassi, M. Esorcismo di una foto, in «La Repubblica», 6 ottobre 2011,
http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2011/10/06/esorcismo-di-una-foto/. (ultimo acceso: 6 novembre 2024).
[29]Berger, J. Che Guevara, in La apariencia de las cosas (ensayos y artículos escogidos), Barcelona, Gustavo Gili, 2014.
[30] Rodotà, S. In Panza, P. Quelle foto tra dovere di cronaca e orrore. Da Pasolini a Cucchi, quanto è legitima la diffusione di immagini cruente?, in «Il Corriere della sera», 1 novembre 2009, p.21.
[31] Uva, C. L’immagine politica. Forme del contropotere tra cinema, video e fotografia nell'Italia degli anni Settanta, Milano, Mimesis, 2015, p.200.
[32] Leonelli, L. Il ritrovamento di Aldo Moro nelle foto inedite di Gianni Giansanti, in «Il Sole 24 Ore», 1° marzo 2008, p. 23.
[33] Conso, G. Le foto di Moro su un settimanale. Non occorrono i codici per rispettare la morte, in «La Stampa», 4 aprile 1979, p.2.
[34] La Carta dei doveri del giornalista parla chiaro: "Pubblicare foto raccapriccianti e impressionanti non è diritto di cronaca e costituisce reato". Quello della dignità della persona umana – afferma la Corte in relazione all'articolo 15 della legge n. 47/1948 sulla stampa che prevede la punizione con la reclusione - è valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento della morale".
[35] Bachmann,I. Tre sentieri per il lago e altri racconti, Milano, Adelphi, 1980, pp.158-160.
[36] Bettetini, G. La pubblicazione di foto macabre. Eppure la morte non è spettacolo, in «Il Corriere della Sera», 24 febbraio 1979, p.6.
Comments