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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Lettera aperta di Pier Paolo Pasolini a Luchino Visconti, 1969.


Pasolini, Visconti ed altre personalità tra il pubblico che partecipa ad un dibattito sulla censura al film Rocco e i suoi fratelli al cinema Corso di Roma, 1960 © Archivio Luce Cinecittà/Tutti i diritti riservati

Caro Visconti, ti dispiace se ti parlo con sincerità da amico e anche con l’intemperanza e l’inopportunità che caratterizzano gli interventi degli amici? Perché, sia ben chiaro, anzitutto, che io non riesco a non considerarti mio amico, e non riesco a non considerare me stesso tuo amico. Ciò mi pare naturale, nelle cose. Lo vedo nella tua presenza fisica, nel tuo stampo e nella tua pasta. Lo avverto pensando a me che penso a te. La mia simpatia per te è inalterabile. Non te ne ho voluto (se non, veramente, per lo spazio di due o tre minuti) anche quando mi hanno detto che alla televisione francese hai sconsigliato la Callas a fare un film [Medea] con me; anche quando mi hanno detto che sei stato a Venezia al fianco di Fellini, complice con lui nel dir male, senza nominarlo, dell’assente (cioè di me: che ero assente per protestare contro due processi dovuti alla mia presenza a Venezia l’anno precedente. Non avrei mai preteso la solidarietà di Fellini, figlio obbediente. Ma la tua...).

Bene, voglio parlarti del tuo film [La caduta degli dei], e di quella che è la sua funzione oggettiva, come si dice, nell’attuale momento del cinema italiano.

Il tuo film cade nella seconda parte: dal momento in cui per una stradina buia, appena illuminata da un’aurora atroce, lampeggia opaco il faro di una motocicletta (che è un momento sublime, come direbbe un po’ fatuamente un ragazzo dei «Cahiers» e come dico, sul serio, io). Da quel momento la tua ispirazione è venuta meno: la strage è fatta «cinematograficamente», senza mistero, con litri di colorante rosso sui corpi dei generici; l’SS Aschenbach si sfalda, diventando da personaggio di comodo, personaggio di romanzo d’appendice – giungendo a piluccare l’uva, mentre il figlio sta per violentare la madre – con la calma dei personaggi accademici di de Sade; anche tutti gli altri personaggi si sfaldano, perdendo ogni mistero.

(…) Invece la prima parte del film, fino a quel famoso faro della motocicletta sul lago, è molto bella, degna di Senso (che è il tuo più bel film, non La terra trema). È molto bella, perché non c’è sotto una sceneggiatura con vecchie scene madri, ma è un mosaico, che è opera completamente tua, fondata su esperienze trasformate in presagi.”

Lettera aperta di Pier Paolo Pasolini a Luchino Visconti «Tempo», n. 47, XXXI, 22 novembre 1969
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