Pier Paolo Pasolini a Roma, 1960 © Archivi Farabola/Leemage/Riproduzione riservata
Sono gli ultimi giorni dell’anno. Il benessere accende, verso sera, in tutti gli uomini una specie di follia: la smania inespressa di essere più felici di quanto siano …
E’ sempre una speranza che dà pietà: anche il piccolo borghese più cieco ha ragione di averla, di tremarne: c’è un istante in cui anch’egli infine vive di passione.
E tutta la capitale di questo povero paese è un solo ansito di macchine, una corsa angosciata verso le antiche spese di Natale, come a una necessità risorta.
Potente luce di Luglio, ritorna, oscura questo debole crepuscolo di pace, che non è pace, questo conforto ch’è paura: ridà parole al dolore che tace.
Manda i cadaveri ancora insanguinati dei ragazzi che hai illuminato potente: che vengano qui, tra questi riconsolati benpensanti, tra questa dimentica gente.
Vengano, con dietro il tuo chiarore di piazze fatte campi di battaglia o cimiteri, tra queste ciniche chiese dove la razza dei servi torna alla sua viltà di ieri.
Vengano tra noi, a cui non è rimasta
che la speranza di una lotta che dispera:
non c’è più luce di Natale, o di Pasqua.
Tu, sei la luce, ormai, dell’Italia vera.
Pier Paolo Pasolini "Non c'è più luce di Natale" da "Dialoghi con Pasolini" su "Vie Nuove" [n. 3 a. XVI, 21 gennaio 1961]
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