Pier Paolo Pasolini con Franco Citti durante le riprese di Accattone (1961) © Mario Dondero/Riproduzione riservata
Ho conosciuto Franco Citti nel 51 credo, attraverso suo fratello Sergio. Suo fratello Sergio l'avevo visto un anno prima, o qualche mese prima- non ricordo. Era comparso trascinando a mano una bicicletta da corsa pescata chissà dove, in quella gran curva che fa l'Aniene passando sotto il Ponte Mammolo, che io ho descritto accanitamente in Ragazzi di vita. È la scena dove i ragazzi fanno il bagno e i cani rissano tra loro, parlando come esseri umani. È passato di lì, ci siamo conosciuti, abbiamo fatto due chiacchere, poi è scomparso. L'ho visto per caso due tre giorni dopo nel quartiere dove lui abitava, in via dell'Acqua Bullicante, alla Maranella. Mi ha chiamato salutandomi, e abbiamo cominciato a chiaccherare seduti sugli scalini di una scuola.
Era notte alta. Ricordo che la nostra conoscenza è stata rinsaldata da una furente partita a ditate. Uno teneva due dita, l'indice e il medio, tesi, coi polpastrelli in alto, e l'altro con le stesse dita colpiva: un colpo ciascuno. Ci siamo battuti con tanta violenza che dopo un'ora avevamo le dita sanguinanti [...]
Un giorno Sergio, mentre camminavamo, lì, al semaforo della Maranella, per la Casilina, mi presentò suo fratello Franco che era un ragazzetto di diciasette anni. Ancora cucciolo, timidissimo, con gli occhi d'angoscia della timidezza e della cattiveria che deriva della timidezza, sempre pronto a dibattersi, diffendersi, aggredire, per proteggere questa sua ingiusta incertezza d'esistenza, egli non ha altri strumenti che la propria violenza e la proprio prestanza fisica: e ne fa abuso. Per dieci anni ho visto spesso questo ragazzo. Ma è sempre stata per così dire, una conoscenza obliqua, insecond'ordine, frammentaria. Ogni tanto compariva alla Maranella, ma solo come fratello di Sergio. Alle volte era però lui stesso ad aiutarmi a trovare delle battute, a dirmi delle gags, a raccontarmi degli episodi; poi scompariva. Faccio un po' fatica a ricostruire, in questi dieci anni, l'amicizia con lui. Era del resto un'amicizia che non aveva alcuna base: Franco non si pone mai con nessuna persona in un rapporto diretto, totale. È sempre suggente, obliquo, ha sempre paura dell'altro: e avendo paura dell'altro, lo aggredisce. È permaloso, geloso, malfidato- come si dice a Roma- ha sempre paura di non essere all'altezza della persona con cui è in rapporto.
Quando mi sono deciso a scrivere "Accattone" e ho dovuto scegliere il protagonista, ho pensato che lui poteva andare benissimo e ho ricostruito il personaggio di Accattone su di lui.
In realtà, ora, Accattone e lui sono la stessa persona. Accattone naturalmente è portato ad un altro livello, al livello estetico di un grave estetismo di morte, come dice il mio grande amico Pietro Citati, ma in realtà Franco Citti e Accattone si assomigliano come due gocce d'acqua.
Pier Paolo Pasolini dal Diario Mamma Roma, dell'aiuto regista Carlo Di Carlo (1962)
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