Pier Paolo Pasolini, anni Settanta © Vogue.Italia. Riproduzione riservata
Roma, ottobre 1964
Caro Bellocchio,
sì, sì, capisco tutto. Ma tre anni fa quando lei ha scritto quel pezzo, non si era in pieno scatenata la campagna diffamatoria della stampa borghese e brutalmente clericofascista, e io non ero stato trascinato con tanta frequenza sul banco degli imputati. Già da allora lei tendeva, da provinciale moralista (non lo dico in senso spregiativo, ma obiettivo) a mitizzare la mia figura di "personaggio": ma poi la violenza diffamatoria contro di me, ha fatto di lei, nei miei confronti, un caso di psicosi, evidentemente.
I piccoli borghesi, a qualsiasi livello operino, e a qualsiasi ideologia appartengano, giudicano la mia vita privata e la mia figura psicologica, "solo in quanto piccolo-borghesi": tra un redattore del Borghese, la signora Bellonci e lei, nel giudicarmi non c'è sostanziale differenza. Ecco perché lei cerca dei pretesti ideologici moralisti per dirottare lo scandalo che prova nei miei confronti, secondo la generale psicosi.
Accusare di "immobilità" astorica e irrazionale il mondo sottoproletario, che è finora stato oggetto della mia narrativa, e il mio mondo interiore, che ha costituito oggetto della mia poesia, significa porre l'accento e quindi sopravalutarlo fino all'incomprensione, su un fatto che è invece un puro e semplice dato di fatto, un caso per la diagnostica e non per una serie di illazioni ingiuste ed esse sì, immobili. Avete fatto dei difetti del mio carattere delle categorie, che adesso giudicate comodamente insormontabili. E così covate tranquillamente lo scandalo ben protetto in fondo al petto coperto dal doppiopetto.
Cordialmente suo
Pier Paolo Pasolini
Lettera a Piergiorgio Bellocchio- Piacenza" (1964) in "Pasolini.Lettere (1955-1975)" Einaudi
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