Pier Paolo Pasolini nella Torre di Chia, Viterbo, 1974 © Gideon Bachmann / CINEMAZERO / Tutti i diritti riservati
NOTTE. Macchina della polizia in perlustrazione sul lungomare di Ostia, radio accesa: ignoti terroristi han fatto saltare una centralina telefonica. D'improvviso irrompe, contromano, una Gt metallizzata. Rapida inversione, inseguimento, cattura dell'automobilista. Il film comincerà così: dalla fine. Ed è un film destinato a far discutere, perché la Gt è quella di Pier Paolo Pasolini, l'automobilista ragazzino è Giuseppe Pelosi, e la tragedia s'è appena consumata a via dell'Idroscalo.
Possibile che inizi così, coi fari accesi nella notte, con l'inseguimento fuoriporta, come un qualunque episodio d'una serie poliziesca all'americana, il primo film su Pasolini? Possibile. La sceneggiatura è pronta, l'hanno scritta Stefano Rulli e Sandro Petraglia (autori tra l'altro delle Piovre televisive) su un'idea di Marco Tullio Giordana che ne farà la regia per il cinema. Le riprese devono ancora corninciare e il riserbo degli autori si scioglie lentamente. Sarà una fiction, parola che forse Pasolini oggi non avrebbe usato, per ricostruire la morte dello scrittore, le indagini di polizia, le perizie medico-legali, i processi. Ma si capisce subito che non sarà un film qualunque. Pasoliniani eccellenti come l'erede Graziella Chiarcossi e il critico Enzo Siciliano hanno letto e approvato il soggetto. Il penalista Nino Marazzita, difensore di parte civile al processo, ha collaborato con passione. E più d'ogni altro s'è data da fare Laura Betti, affiancandosi, con la Fondazione Pasolini, al lavoro degli sceneggiatori. «Noi tutti - dice l'attrice - abbiamo accettato di tornare su una materia così delicata per chiudere definitivamente il discorso con molta autorità. Dopo tanto avvoltoismo, tanti sbranamenti, con questo film vorremmo dire: basta! le cose sono andate così, noi lo sappiamo bene, e basta».
Gli amici di Pasolini lo «sanno», e la Betti lo dice: «Tutto prova che Pelosi quella notte non era solo». Ma il processo d'appello si concluse con l'affermazione che «non esiste alcuna prova fisica della presenza di terzi sul luogo del delitto». E dunque il film, prima ancora di chiudere il discorso, potrebbe riaprirlo. Con l'ambizione, anche, di ribaltare la sentenza.
Ne è convinto Marazzita: «Certo si metterà un grosso punto interrogativo sulle conclusioni legali della vicenda. L'impostazione del film è un po' alla JFK, e personalmente mi aspetto polemiche e ripensamenti». Si aspetta cioè la riapertura del caso? «E' possibile. Di fronte all'espressione d'un desiderio di verità, la magistratura potrebbe anche fare autocritica». Tanto più che, sostiene l'avvocato, esisterebbe anche «un dato nuovo, sul quale stiamo lavorando».
Un mistero italiano
«La fine di Pasolini - dice Petraglia - è un mistero italiano, è stata registrata come qualcosa di risolto, e invece non lo è. Noi, però, non abbiamo scritto un film processuale. C'interessava far sentire ciò che Pasolini pensava e diceva, che tipo d'intellettuale era». Con particolare attenzione vengono tuttavia ricostruiti i due processi a Pelosi, i cui atti sono tra l'altro stati pubblicati recentemente dalla Kaos Edizioni con una prefazione di Giorgio Galli intitolata, fuor di metafora, «Un delitto politico». «Nella prima sentenza - ricorda Rulli - si sostiene la probabilità che l'assassino non fosse solo. Nella seconda Pelosi viene ritenuto l'unico colpevole. Noi abbiamo evidenziato le numerose contraddizioni, e rievocato un clima molto drammatico che a metà degli Anni Settanta si era creato intorno a Pasolini».
La storia comincia nella notte tra l'I e il 2 novembre '75, Pasolini morto, e lo scrittore compa- rirà solo attraverso spezzoni di vecchi filmati. Sarà però un film vero, e poetico, tiene a dire Petraglia: «Un film sull'assenza, sulla drammaticità dell'assenza di Pasolini, soprattutto in relazione ad alcune degenerazioni dell'attuale dibattito politico». Ma è possibile raccontare un'assenza, morale e intellettuale, attraverso la concitazione dei giorni successivi al delitto, le indagini, le perizie, gli interrogatori? Petraglia pensa di sì, dice che fu quello «il momento forte dell'assenza». Anche Siciliano pensa di sì: «Proprio cercando di ricostruire l'assassinio ci si rende conto del vuoto che si spalancò dopo quella notte».
Marco Tullio Giordana è l'unico a osservare, senza pretenderla da altri, la regola del silenzio. Parlerà a cose fatte. Ma nel mettere d'accordo quasi tutti, è riuscito là dove molti prima di lui avevano fallito. Il perché lo spiega Chiarcossi: «Personalmente non mi piace affatto l'idea che si faccia un film su Pier Paolo, anche se capisco che alcune persone possano avere voglia di farlo - dice - ma questa volta mi è parso che le intenzioni fossero di tutto rispetto». Qualche dubbio, subito mitigato dalla piena fiducia nel regista, lo esprime il poeta Dario Bellezza: «Io avrei fatto piuttosto un film didascalico, mi sarei basato sulle opere. Anche perché penso che la figura di Pasolini sia, come tutto, storicizzabile, e non sono così sicuro che sia facile raccontare oggi la sua assenza. In una società multimediale, forse anche lui sarebbe stato diverso, e non è detto che le sue opinioni avrebbero avuto lo stesso impatto».
Lo scandalo di «Petrolio»
Resta da chiedersi se un film di questo tipo, dopo la pubblicazione di Petrolio, non rischi di consegnare ai giovani un Pasolini monco, protagonista d'una vicenda umana e intellettuale sbilanciata verso la fine, come protesa verso il suo tragico epilogo. Ma la domanda non piace a nessuno. Siciliano: «L'idea della sceneggiatura precede di gran lunga la pubblicazione di Petrolio, nessuno ha intenzione di sfruttare l'ultima parte della vita dello scrittore, sulla quale c'è invece, da parte di tutti, un interesse morale e politico». Laura Betti: «Non credo, anche se c'è il rischio che Petrolio non venga capito se non riusciremo ad agganciarlo, e lo faremo, a tutto il resto della produzione di Pier Paolo. A me sembra che Pasolini rappresenti ancóra, per i giovani, una figura digrande fascino: poetico e politico».
Naldini Naldini
NO, non credo che si senta la necessità d'un film. Mi sembra che ci sia, su Pasolini, il bisogno di stare zitti. Si rileggano invece i suoi libri, e si rivedano i suoi film». Nessuno aveva informato lo scrittore Nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini, che ascoltando la notizia del film un po' trasecola. Naldini, da sempre contrario alle tesi di Betti e Bellezza, auspica che «chiunque voglia provare a fare un film su Pier Paolo abbia il coraggio di raccontare la sua morte per ciò che è: uno scontro con un giovane in una situazione erotica, con una dinamica ricostruita nei verbali del processo, e una causa scatenante». In mancanza di elementi sufficienti a formu- bisogna stare zitti» lare un giudizio sul lavoro di Giordana, Rulli e Petraglia, lo scrittore si attiene a una considerazione di fondo: «Sono convinto che si debba essere a un livello eccelso di raffinatezza culturale, per realizzare un film su Pasolini». E alla fine, un affondo polemico: ciò che ih generale teme Naldini «è una mitologia a due corni: da una parte la tesi del complotto, perché mi pare che il tempo l'abbia fatta seppellire, dall'altra quella del martirio omosessuale, altrettanto demagogica». [st. mi.] nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini: «Non credo si senta la necessità di un film su di lui, bisogna stare zitti»
Stefania Miretti. Pasolini, il complotto, su La Stampa, domenica 17 gennaio 1993, p.20.
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