Così non si può andare avanti. Bisognerà tornare indietro, e ricominciare daccapo. Perché i nostri figli non siano educati dai borghesi, perchè le nostre case non siano costruite dai borghesi, perché le nostre anime non siano tentate dai borghesi. Perché, se la nostra cultura non potrà e non dovrà più essere la cultura della povertà, si trasformi in una cultura comunista...
Pier Paolo Pasolini da “Appunto per una poesia in terrone” in "La Nuova Gioventù", Torino, Einaudi, 1975
Pier Paolo Pasolini a una manifestazione di solidarietà con il popolo basco. Roma, Piazza di Spagna, settembre 1975 © Vittorio La Verde/Riproduzione riservata
Tornare indietro? Ricominciare daccapo? Ma allora è proprio vero? Allora hanno ragione tutti coloro (compresi I miei amici Sanguineti e Asor Rosa) che definiscono Pasolini un intellettuale 'reazionario'; sia pure grande, naturalmente.? La questione è in effetti tra le più controverse della critica pasoliniana.
Va subito detto che a complicare le cose (e volontariamente, penso) è stato lo stesso Pasolini, facendo della 'Contraddizione' (tra natura e storia, tra ragione e viscere, tra tradizione e progresso) la sua cifra poetica fondamentale, usando non di rado nelle sue opere un tono biblicoprofetico (retaggio della sua educazione cristiana e del suo 'arcaico cattolicesimo'), mostrando una fortissima nostalgia per il passato, per le condizioni di vita anteriori. Ma Pasolini era davvero un critico della modernità toutcourt, un pauperista? Non lo credo affatto. E cercherò di dimostrarlo.
Innanzitutto: perché definire «reazionaria» la nostalgia del passato? Se questo è un tipico sentimento umano per quale ragione un «rivoluzionario» non dovrebbe provarlo, e un poeta, ancorché rivoluzionario, non dovrebbe esprimerlo?
Ma poi, è proprio vero che quello di Pasolini fosse un atteggiamento 'nostalgico», che in lui non fosse chiara la distinzione tra consumismo in generale» e consumismo Italiano»? In realtà, è vero il contrarlo. Si legga in proposito il suo ultimo articolo per il Corriere della Sera. La data è quella, del 29 ottobre 1975, tre giorni prima della sua morte. E un passo cosi eloquente da non aver bisogno di alcun commento:
«Moravia nel rimproverarmi la mia ingenua indignazione contro il consumismo, confonde continuamente il consumismo in generale col consumismo italiano... Ma mi provi che lo mi indigno contro il consumismo in generale: produca cioè un mio testo contenente una simile indignazione. In realtà, per quanto riguarda la fase consumistica del capitalismo mondiale lo la penso esattamente come Moravia. Se egli invece mi rimprovera un'ingenua indignazione contro li consumismo italiano, allora egli ha torto. Perché senza indignazione sarebbe impossibile parlarne. È da escludere la possibilità dell'oggettività, quando la gestione della rivoluzione consumistica è stata manipolata dai governanti italiani in un modo e in contesto criminale.»
Quella di Pasolini, in sostanza, non è la solita tirata moralistica contro la società moderna ma una critica radicale della modernltà; non è un'invettiva contro la società dei consumi genericamen te in tesa ma con tro il modo in cui è stata realizzata in Italia (ed è quindi anche un'analisi — forse la più acuta che si conosca — del 'trauma Italiano').
Il 'trauma italiano' è dato dal contatto tra l'arcaicità pluralistica e il livellamento industriale (come nella Germania prima di Hitler). È la conseguenza del passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà industriale e post-industriale che — a differenza di altri paesi — in Italia avviene in modo brusco e improvviso, come prima 'unificazione' reale conosciuta dal nostro paese (mentre altrove essa si è sovrapposta, con una certa logica, alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriate}. .Andare avanti è dunque necessario, ma non tagliando completamente i ponti con il passato o esaltando acriticamente quei beni superflui e quegli 'sciupii vistosi' che rendono superflua e inautentica l'intera esistenza e che sembrerebbero essere il sale della 'modernità'. «Bisogna strappare ai tradizionalisti il Monopolio della tradizione... Solo la rivoluzione può salvare la tradizione: solo i marxisti amano il passato: i borghesi non amano nulla», scriveva Pasolini nel 1962 su 'Vie Nuove'. D'altra parte, anche la proposta berlingueriana dell'austerità, formulata nel 1976, a un solo anno di distanza dalla morte dello scrittore, ha molti punti di contatto con la violenta polemica anticonsumistica di Pasolini e con la sua idea di far coincidere sviluppo e progresso. E quanto non coglie, a mio parere, Edoardo Sanguineti. Di recente egli ha accostato Pasolini a quegli esponenti del 'socialismo feudale' (che hanno impugnato la proletaria bisaccia da mendicante) di cui parla Marx nel Manifesto dei comunisti. Ma come è possibile che Sanguineti dimentichi che la borghesia del ventesimo secolo (e soprattutto quella Italiana) non ha nulla a che vedere con la borghesia magnificata da Marx, come forza 'sommamente rivoluzionaria; nella prima parte del Manifesto? E che, comunque, ti problema dell'oggi è più di qualità che di quantità? Non riguarda, cioè, più il quanto produrre ma il come (compreso il come difendere l'ambiente naturale e il come riequilibrare il rapporto tra nord e sud del mondo, e quindi anche il come risparmiare?). Tutti temi assai cari al poeta delle Ceneri di Gramsci (si pensi solo a quella vera e propria 'Operetta morale' che è L'articolo delle lucciole) ma bellamente ignorati da quasi tutta la borghesia italiana.
I concetti di vera e falsa modernità, di vero e falso rivoluzionarismo rendono più chiara anche la polemica che Pasolini sviluppò non tanto verso il Movimento Studentesco del '68 (si veda nel volume II caos il modo positivo in cui egli ne paria, paragonandolo alla Resistenza e definendolo l'unica 'rivoluzione' conosciuta dall'Italia e dall'Europa dai tempi della Liberazione) quanto nei confronti di quel che egli definì il 'fascismo di sinistra' (e che fu certamente presente anche in settori di quel Movimento). Vi sono nel ragionamento di Pasolini anticipazioni quasi profetiche di quel che sarebbe accaduto in Italia nella seconda metà degli anni Settanta.
In un saggio apparso sempre nel '68 sulla rivista Nuovi Argomenti (Anche Marcuse adulatore?), un saggio breve ma assai denso e purtroppo largamente misconosciuto, è contenuta, comunque, la più esauriente spiegazione del punto di vista pasoliniano e dei polemici e scandalosi versi Il Pci ai giovani, scritti 'a caldo' dopo i famosi scontri (a cui chi scrive partecipò in prima persona) di Valle Giulia a Roma. Marcuse — sostiene Pasolini — paria degli studenti qualificandoli con l'attributo di eroici, ma, se questo è possibile 'riferendosi in particolar modo all'America e alla Germania Occidentale: due paesi privi di tradizione culturale marxista', diventa assolutamente illecito se si pensa a paesi come l'Italia e la Francia, perché in essi, al contrario, una tradizione culturale marxista esiste, e non si tratta di rifiutarla, come fanno gli studenti, regredendo, ma di ricostruirla, di rinnovarla, progredendo.
Varrà pur qualcosa, del resto, quanto ciascuno fa nella propria vita e il modo in cui si colloca e si definisce. Ebbene, Pasolini si è sempre proclamato marxista, ha sempre dichiarato di essere comunista e di votare per il Pci: anche quando ipartigiani comunisti uccisero suo fratello Guido, partigiano anche lui ma delle formazioni di 'Giustizia e Libertà'; anche quando i dirìgenti comunisti lo espulsero alla fine degli anni Quaranta dal partito per la sua omosessualità; anche quando gli intellettuali comunisti lo accusarono d'essere un decadente e un irrazionale. Il suo legame con i comunisti italiani, con la concezione gramsciana e togliattiana del comunismo, traspare peraltro in modo mirabile in un altro passo contenuto nel volume Il caos, anch'esso datato 1968 e anch'esso scritto in polemica con il Movimento Studentesco:
«A chi mi dicesse: "Ma il sistema, assimilando ciò che gli si oppone egli è diverso, si migliora, e quindi si rafforza", risponderei: "Tanto meglio. E dalla democrazia che nasce la democrazia. Il sistema si dichiara democratico, ma lo è falsamente. Bisogna lottare per una democrazia reale; e questa si ottiene anche attraverso una serie di assimilazioni, da parte del sistema, delle idee e delle opere di chi lotta per la democrazia. E solo sulla democrazia si può fondare il socialismo. Bisogna lottare contemporaneamente per queste due cose (purché non si lotti per la socialdemocrazia, che è la cosa peggiore di tutte)».
Gianni Borgna "Pasolini. Ma io dico che è il più moderno" in "L'Unità" 15 settembre 1985.
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