Sono passati dieci anni dalla fine tragica di Pier Paolo Pasolini e la cultura ufficiale sembra voler rimuovere questa figura di intellettuale scomodo. Che cosa rimane della sua opera di romanziere, di poeta, di cineasta, di polemista attento alla realtà? E cosa avrebbe detto, come avrebbe reagito di fronte alle trasformazioni della società d’oggi? Lo abbiamo chiesto al poeta Dario Bellezza che conobbe veramente Pasolini, per una lunga consuetudine di lavoro e di amicizia.
Parlare di Pasolini non è facile. Non ancora, evidentemente, se nei dieci anni che ormai ci separano dalla sua morte, di lui si è parlato pochissimo. Anzi, c’è stato il silenzio quasi più assoluto, si è cercato di rimuovere la sua figura dimenticando il romanziere, il poeta, il cineasta, il drammaturgo, il saggista, il polemista. Al poeta e scrittore Dario Bellezza, che ha conosciuto bene Pasolini, che è stato anche il suo segretario dal 1967 al 1971, che gli è stato amico fino alla fine, abbiamo chiesto di parlarci, di raccontarci che cosa avrebbe detto o come avrebbe reagito davanti ai fatti e au problemi d’oggi Pier Paolo Pasolini. Dario Bellezza, 42 anni, definito da Pasolini il miglior poeta della nuova generazione”, premio Viareggio per la poesia del 1976 con la raccolta di versi intitolata Morte segreta, scrittore di libri come Angelo, Morte di Pasolini e Turbamento, lavori che hanno scatenato violentissime polemiche nel mondo letterario italiano, parla con toni pacati e con cadenze lunghe e quiete.
Pier Paolo Pasolini nella sua casa di Sabaudia, ottobre 1975 © Dino Pedriali/Tutti i diritti riservati
A dieci anni dalla morte che cosa è rimasto di Pasolini?
Sarò pessimista ma mi sembra che sia rimasto poco o niente. Niente a livello di cultura italiana. In Italia, è noto, si viene dimenticati molto velocemente. Anche se Pasolini ha avuto la fortuna di avere alcune persone che l’hanno amato e che continuano a occuparsi di lui. Diciamo la verità, se non fosse per Laura Betti che, tutto sommato, è quella che ha organizzato sua la commemorazione a Parigi sia quella di Roma, Pasolini sarebbe caduto nell’oblio. Va dato gran merito a questa donna che ha amato Pasolini pur essendo Pasolini omosessuale.
Dove sono finiti quegli intellettuali e scrittori che urlavano sdegnati all’indomani della sua morte?
Agli intellettuali italiani ha fatto comodo che Pasolini morisse. Perché era uno di meno. Hanno avuto più spazio per loro. Anche se tutti gli ideologi che, dopo la sua morte, sono montati in cattedra, da Arbasino a Parise, a Volponi, come tuttologi per dare la loro interpretazione dei fatti del mondo, sono poi rapidamente scomparsi non come scrittori, ma come ideologi, perché non avevano la struttura poetica e culturale di Pasolini.
La manifestazione che il Fondo Pier Paolo Pasolini svolge a Roma dal 15 ottobre al 15 dicembre è intitolata: una vita futura. Perché?
Il titolo mi sembra azzeccatissimo. Di buon augurio, al meno. Però, secondo me, non fa i conti con la situazione culturale e letteraria italiana. Il nostro è un paese in cui la cultura viene fatta soprattutto nelle università. E si sa che i professori universitari promuovono certi scritti e non altri. Pasolini è un maledetto, è un sconsacratore, è uno scandaloso, è un omosessuale; per tutte queste ragioni non ce la fa a passare fra le maglie del tessuto culturale universitario.
Tu hai conosciuto bene Pasolini: com’era nella vita quotidiana?
È difficile parlare dei morti. Anche se io ricordo benissimo com’era. Però è possibile che le mie impressioni siano falsate dal tempo che è passato e dalla mia età d’allora: ero quasi un ragazzo. Altri l’hanno descritto in maniera diversa da me. Nella vita privata io lo vedevo come una persona molto dolce, molto mite e sostanzialmente anche molto buona. Però aveva questo furore, questa rabbia contro il mondo che poi tirava fuori nelle opere e negli articoli. Però non è vero, come è stato scritto di recente, che era un reazionario perché odiava il progresso. No. Luis sapeva bene che il progresso aveva portato dei vantaggi al mondo, dalla penicilina al vaccino antipolio di Sabin, tanto per dare dei referenti molto banali: non è di questo che lui parlava. Lui si riferiva alla degradazione dei sentimenti, alla degradazione dell’umano.
Per la prima volta la federazione giovanile comunista ha indetto una manifestazione pubblica su Pasolini; non sono state discusse le sue prese di posizione politiche ma soltanto la sua carica morale, la grande tensione ideale, il suo sdegno contro la società dei consumi. Che cosa avrebbe detto, secondo te, Pasolini di questa comoda appropriazione post mortem di una sola parte della sua personalità?
Non credo che gli avrebbe fatto piacere la strumentalizzazione della sua opera in chiave settaria. Però i giovani comunisti, dal loro punto di vista, hanno fatto bene a trovarsi in qualche modo un padre spirituale. Se non sceglievano Pasolini come guida chi potevano prendere? Per me, ovviamente, non si può scindere l’impegno politico dalla complessa figura di Pasolini. Soprattutto non è giusto. Perché lui era molto policizzato, anche se non così rozzamente da usare solo la politica per esprimersi. Avrebbe rifiutato, irrio a quest’invito? No, forse avrebbe sorriso. Ma, tutto commato, gli avrebbe fatto anche piacere. Perché era un uomo che amava il sucesso. Gli sarebbe piaciuto soprattutto averlo da parte dei giovani. Inoltre lui faceva una grande distinzione fra il Pci e la Fgci, la federazione giovanile: diceva che erano due momenti diversi.
Il Pci l’aveva espulso nel 1949 con una pubblica denuncia della sua omosessualità. Nel ’68, quando Pasolini difese i poliziotti, il Pci l’accusò di essere un reazionario. Cosa avrebbe detto Pasolini della crisi d’identità in cui si dibatte il Pci?
Pasolini, pur bandito dal partito, rimaneva comunista e compagno di strada del Pci. Il marxismo era il punto di riferimento culturale di Pasolini. Assieme però al critianessimo. Infatti, fu proprio lui, Pasolini, a parlare di dialogo fra cattolici e marxisti. Per questo oggi accuserebbe i comunisti di non aver tenuto conto della situazione reale della società italiana, di essersi fatti, tutto sommato, fregare dai democristiani e dai socialisti. A Pasolini l’impegno politico veniva dal suo stare con la gente povera, con il sottoproletariato, con il cercare l’emancipazione dei reietti, con la speranza di un mondo alternativo a quello della borghesia: il suo impegno era contro la borghesizzazione del mondo. Ci sono, indubbiamente, dei punti di contatto con i comunisti. Comunisti, però, coi quali lui polemizzava fin d’allora. Perché, secondo lui, erano già diventati dei veri borghesi. Infatti l’ultimo Pasolini era soprattutto anarchico.
Non piuttosto un radicale?
Aveva avuto delle confluenze con il partito radicale di allora perché faceva delle grosse battaglie: affrontava il problema della droga, quello dei diritti civili, il divorzio e l’aborto. Su alcuni di questi punti Pasolini dissentiva. Per esempio, Pasolini era contro l’aborto: diceva che si poteva uccidere Michelangelo. Però capiva che l’aborto era necessario alla società. Non era contrario dal punto di vista collettivo; lo era da un punto di vista privato. Come idea poetica. Tutti quanti siamo contrari all’aborto come idea poetica, come uccisione della vita; però sappiamo che è necessario.
Pasolini, insomma, aveva una tale vitalità, aveva sollevato tanti problemi e problematiche da essere appetibile a molti...
Appetibile per tutti. D’altronde solo così si spiega anche il suo successo all’estero e, soprattutto, in America. Basta pensare alle accoglienze fatte a film come Uccellacci e uccellini, a Teorema e altri, film capiti benissimo ovunque perché Pasolini possedeva quello che si chiama il messaggio universale.
Appetibile anche a quelli di Comunione e Liberazione...
Sì, però è stata una buffonata, finita subito nel nulla. Secondo me Pasolini avrebbe avuto orrore di Comunione e Liberazione. Come aveva orrore di tutti i fanatismi e di tutte le intolleranze. In ogni caso non gli andavano bene coloro che erano intruppati, che non avevano capacità di esistere come individui.
Pasolini on aveva un’esigenza di trascendente?
Il trascendente c’è in Pasolini come in tutti gli artisti. Lui diceva: l¡artista ha un rapporto col sacro. La sacralità della creazione, la sacralità della vita, la sacralità della natura. Però lui si professava ateo. In ogni caso i suoi film possono anche dare un senso di Dio, della divinità, di Cristo. Però non credo che si sarebbe messo con la moda di Dio. Era contro tutte le mode.
A quali film di Pasolini ti riferisci?
Basta pensare al Vangelo secondo Matteo, a Teorema e ad altri. Secondo me lui era un grandissimo regista, un regista ancora sottovalutato. Pasolini, specie negli ultimi vent’anni della sua vita, era entrato in crisi col romanzo; infatti, dopo Ragazzi di vita e Una vita violenta non era più riuscito a scrivere un romanzo. Anche le sue poesie erano diventate sempre più frammentarie.
Pasolini regista allora che cosa avrebbe detto della profonda crisis che attraversa il nostro cinema?
Il cinema italiano d’oggi? Sarebbe rimasto sbigottito e indignato. Sicuramente avrebbe fatto delle pingenti considerazioni culturali. Perché oggi non c’è più alcun rapporto fra cinema e cultura; anzi, c’è una distanza profonda. Alcuni giovani registi li avrebbe sivuramente amirati, approvati, come Piscicelli, per esempio. Non dimentichiamo che lui, in un certo senso, ha scoperto Bernardo Bertolucci, Bellocchio, la Cavani. I Moretti, i Verdone, i Nichetti li avrebbe sicuramente detestati. Come detestava la comicità che non fosse alta comicità alla Carlot, alla Totò. Ma la comicità facile col peto Pasolini non l’avrebbe mai accettata.
L’esigenza di parlare con i giovani, con la gente era diventata ossessiva in Pasolini. Tu credi che, pur di comunicare con loro, sarebbe andato a Domenica in?
Penso di sì. Monto cinicamente credo proprio di sì. Perché Pier Paolo non era un intransigente, un moralista nel senso peggiore del termine. Era un moralista per le grandi cose non per le piccole. Poi lui sapeva benissimo che un artista nel mondo capitalistico doveva essere disponibile e pronto a farsi divorare dal pubblico; sapeva che doveva accettare dei compromezzi. Per questo non avrebbe avuto alcuna remora a mostrarsi in TV. Pur parlando male della televisione, che definiva uno strumento di corruzione.
Pasolini come te era un diverso. Come avrebbe reagito davanti all’Aids? A questo virus che è stato principalmente etichettato come prerogativa degli omosessuali?
Pasolini avrebbe sicuramente scritto molti articoli feroci. Intanto avrebbe scisso i due momenti: il momento della malattia da quello della psicosi della malattia, dello spettacolo creato intorno alla malattia. Sicuramente avrebbe tuonato contro il professor Gallo, questo medico di origine italiana che solo adesso, dopo aver spaventato tutto il mondo, dice “questo non è un virus omosessuale, è solo un virus che, all’inizio, in Europa e in America, si è diffuso fra gli omosessuali”. Perché è lui che ha la responsabilità morale di aver provocato tutte le cacce alle streghe che ci sono state e ci saranno nel mondo. Perché il pregiudizio, ormai, resta.
Insomma tu pensi che sia stato strumentalizzato il fenomeno Aids?
Esatto. Perché faceva comodo eliminare alcune categorie di persone che hanno avuto da sempre la croce addosso. Primi fra questi gli omosessuali. È stato fatto un discorso evidentemente politico su questa cosa. I giornali poi, parlandone in continuazione, ne hanno fatto un mito terrorizzante. Invece, quando vai ad analizzare le statistiche trovi che in Italia ci sono 120 mila morti di epatite virale all’anno mentre di Aids ci sono stati 53 morti e due o trecento casi di malattia. Questo ti fa pensare che siamo di fronte all’aberrazione, che la gente abbia bisogno di capri espiatori su cui riversare il proprio odio, le proprie frustrazioni, le più incosce paure. O, forse, è proprio questo che si è voluto fare? Spaventare la gente visto che adesso sono coinvolti tutti, omo ed eterosessuali?
Pasolini avrebbe modificato la sua vita per l’Aids?
Intanto Pasolini oggi avrebbe una certa età e forse avrebbe meno esigenze di allora. È morto per motivi sessuali, però. Per questo penso che lui se ne sarebbe fregato altamente; come dovrebbero fare tutte le persone intelligenti. Altrimenti saremmo costretti soltanto a masturbarci.
Però è da qualche anno, prima ancora che scopiasse il caso Aids, che i giovani fanno coppia fissa, sono fedeli al loro partner...Questa castità non avrebbe affascinato anche Pasolini?
La castità affascina tutti come punto di riferimento, come aspirazione poetica. Però uno può benissimo fa l’amore ed essere profondamente pulito, fedele ai suoi principi, possedere la sua interiorità o esigenza morale. Il sesso era anche inteso, prima che uscissero tutti questi spauracchi, come uno strumento di conoscenza. Certo, ci possono essere tanti i tipi di comunicazione. Ma la castità mi sembra una sublimazione. I santi erano casti, però si facevano fustigare per rimanere tali. I giovani vivono un rapporto casto fra di loro? Pasolini avrebbe detto: peggio per loro. Perché per lui il sesso era molto importante.
E di questo papa viaggiatore che avrebbe detto?
Sul papa non si possono dire molte cose perché si incappa subito nel reato. Quindi non siamo liberi di parlare di lui. Nemmeno servendoci di Pasolini. Ma credo che Pasolini non avrebbe amato per niente questo papa così terrificantemente politico e conservatore. Se poi pensiamo che Pasolini ha dedicato il film Il Vangelo secondo Matteo alla cara immagine di papa Giovanni XXIII - proprio così diceva l’iscrizione all’inizio di quel film - sappiamo cosa amava Pasolini in un papa. No, questo papa non gli sarebbe piaciuto. No per niente quelli di Comunione e Liberazione sono molto legati a questo pontefice.
Come mai non sei fra i commentatori di Pasolini alla manifestazione di Roma?
Ho rifiutato l’invito della federazione giovanile comunista perché in quel periodo ero alla fiera del libro di Francoforte dove erano usciti due miei libri: il primo è proprio morte di Pasolini, l’altro, pubblicato tempo fa dalla Mondadori, è Storia di Nino. Alla Betti non ho detto di no. Non so come mai non mi abbia invitato. A causa del mio libro? Non so. Io ho tenuto sempre un atteggiamento abbastanza non polemico verso la Betti ma, evidentemente, a livello dei pasoliniani, io dico forse cose che loro non vorrebbero dicessi. Soprattutto quando insisti sul fatto che Pasolini ci teneva a essere un omosessuale. E questo, forse, non bisogna dirlo molto. Poi ho scritto che la morte di Pasolini è un fatto esclusivamente sessuale e perpetrato da una sola persona. Anche se non escludo che possa essere andata diversamente.
Ma come? Adesso ti rimangi la tesi del tuo libro?
Non mi rimangio niente. Per me rimane sempre un delitto a sfondo omosessuale; però le motivazioni che c’erano dietro e la dinamica del delitto lasciano qualche sospetto. Insomma, in Italia niente è sicuro. Non vedo perché solo io debba essere sicurissimo.
Pensi che Pasolini avrebbe avuto un atteggiamento di comprensione per Pelosi, il suo assassino?
Io penso che l’avrebbe perdonato. L’avrebbe perdonato perché, così facendo, faceva un grande gesto, un gesto cristiano. E Pasolini era profondamente cristiano.
Dario Bellezza. Pasolini. Parliamone un po’ senza paura, intervistato da Piera Fogliani, Rivista Max, n.8 novembre 1985, pp.36-40.
コメント