Pier Paolo Pasolini immortalato da Mario Dondero (1963) © Dondero Archives/Riproduzione riservata
Sono note le passioni e la sincerità con cui esprime le sue opinioni sui problemi politici, non meno che su quelli sociali, estetici, culturali. per questo la nostra conversazione comincia e si sviluppa con domande e risposte in cui l'accento personale e particolarmente presente. - Paolo Spriano: Tu esprimesti, pubblicamente, in prosa e in versi la tua simpatia per l'esperimento di centro sinistra quando esso si attuò. Oggi a più di un anno di distanza, il tuo parere è mutato?
- Pier Paolo Pasolini: Io sono stato uno di quelli che hanno accolto con un certo favore il centro-sinistra. Ricordo che due anni fa ho pubblicato sull'Avanti! una poesia a Nenni, con gli auguri di buon lavoro. Ho dovuto molto ricredermi. Intendiamoci, continuo a seguire Nenni con la simpatia e anche la trepidazione con cui si segue un uomo che si e messo in una situazione difficile, contraddittoria e «scandalizzante». D'altra parte, il problema non rigorosamente politico, ma, direi, sentimentale, che il centro-sinistra suscita è uno di quel problemi che si risolvono in sede di buon senso, e quindi non si risolvono. Cioè: è preferibile un governo di centro, o di centro-destra, oppure un governo di centro-sinistra? Il buon senso è li, inappuntabile, a dire che il secondo corno è da preferirsi. Bene. Ma il meno peggio ha fatto capire, come sempre, quanto il meglio sia diverso. Per quel che mi riguarda personalmente - la mia vita, il mio lavoro - questi del centro-sinistra sono stati gli anni più brutti. Ma la situazione di capro espiatorio non e certo la migliore per giudicare serenamente le cose. Me l'ha spiegato l'altro giorno un ragazzo di sedici anni in una riunione all'associazione «Nuova Resistenza»: la destra, imbestialita da una prospettiva più democratica di governo, si accanisce con più rabbia, là dove può, coi suoi avversari classici: per esempio gli intellettuali. Prendiamo atto di quello che anche un ragazzo di sedici anni capisce. (Ma intanto questo può restare anche il lato buono della cosa; la scissione aperta, scoperta, messa a nudo tra governo e stato. E' la prima volta che questo succede in Italia. La burncrazia, la magistratura, il Corriere della Sera, la televisione, non la pensano come gli uomini al governo: sono rimasti nelle tenebre e nell'odio delle destre. Benissimo. non è una chiarificazione? E non è una fenditura che serpeggia anche nel gran corpo della Democrazia Cristiana?). - PS: Deduci da queste considerazioni una scelta elettorale precisa?
- PPP: Anche quest'anno come sempre, voto comunista. Lo sai bene, il voto è un fatto estremamente privato, delicatamente privato, addirittura patologicamente privato. Bene, la mia vita privata e tormentata dal suo contrario: dall'ufficialità, che, letteralmente, non vuole ammettere la mia esistenza. E mi destina a uno stato - che rischia di diventare ridicolo - di perseguitato. Perciò devo confessarti che anche quel tanto di «ufficiale» che c'è nel partito comunista, non mi piace. Fatti miei, certo. Un Partito che si considera, a diritto, maturo per prendere il potere e governare, non può non essere, in qualche modo «ufficiale». Per me, ufficialità è esattamente il contrario della razionalità. Ciononostante voto per il PCI senza il minimo dubbio, o la minima incertezza interiore. Perchè so che la razionalità del marxismo è più forte di qualsiasi contingenza anche sgradevole, di qualsiasi situazione particolare che regoli i rapporti tra i comunisti di estrazione o formazione borghese. - PS: Si fa un n discutere del miracolo economico, del «benessere», di quanto siano mutate le condizioni di vita delle masse popolari in questi ultimi anni. Qual è il tuo parere in proposito?
- PPP: E' vero, come dice Moravia, in una società c'è quello che si pensa che ci sia. Ma il primo dovere di uno scrittore e quello di non temere l'impopolarità. lo rischio di rimanere un romanziere degli Anni Cinquanta se insisto a dire che nella nostra società c'è quello che c'è: ossia che c'è quello che c'era dieci anni fa. Il benessere e una faccenda privata della borghesia milanese e torinese. lo so che a livello popolare nulla e mutato. Anzi, come le disperate Cassandre vanno da tempo ripetendo, le cose sono peggiorate. Il Meridione ha l'aria spaventata di una colonia, coi suoi coprifuochi, i suoi deserti e i suoi silenzi. A Roma tuguri, disoccupazione, caos, bruttezza, centinaia di migliaia di persone che vivono con cinquantamila lire al mese. lo, coi miei occhi, verifico ogni giorno che; Tiburtino, il Quarticciolo, Primavalle e mille altri quartieri sono gli stessi di dieci anni fa, la gente vive allo stesco modo di dieci anni fa. Anzi, se il mio diritto di cittadino che protesta include anche la suscettibilità estetica, tutto e peggio che dieci anni fa, perchè almeno, dieci anni fa, intorno alle borgate e ai villaggi di tuguri c'erano i prati: oggi c'è qualcosa di indicibile, il puro orrore edilizio, qualcosa che condanna chi vi abita alla contemplazione dell'inferno. Perciò rischio tranquillamente l'impopolarità; e affermo in piena coscienza che non c'è ciò che tutti pensano che ci sia, e con ciò lo fanno essere: potrei scrivere altri dieci romanzi, o girare altri dieci film su un mondo che il razzismo borghese non vuole conoscere e che è in realtà espressivamente inesauribile, perchè non sono i quattro soldi del boom » nordico che potranno mutarlo. Mai come in questo momento in cui il fascino del qualunquismo neo capitalistico - efficienza, illuminismo culturale, gioia di vivere, astrattismo e motels - agisce soprattutto negli animi dei semplici, che si illudono di cambiare la propria vita imitando come possono la vita volgarizzata dai privilegiati, o addirittura accontentandosi di averne coscienza, la rivoluzione della struttura appare necessaria. lo credo che non solo sia la salvezza della società: ma addirittura dell'Uomo. Una orrenda «Nuova Preistoria» sara la condizione del neocapitalismo alla fine dell'antropologia classica, ora agonizzante. L'industralizzazione sulla linea neocapitalistica disseccherà il germe della Storia...
Ma mi interrompo, perchè questi, cosi, sono discorsi da dilettante, e si giustificherebbero solo... se in versi... - PS: Non ne hai forse parlato nelle tue poesie più recenti?
- PPP: Si, i miei versi di questi due anni parlano di questi problemi. L'addio dell'uomo alle campagne... alla civiltà classica... alla religione. Si intitolano - dato l'ingorgo irrazionalistico - «Poesie in forma di rosa», ma potrebbero logicamente intitolarsi «La Nuova Preistoria». La lotta operaia mi appare non solo come una lotta ideale per il futuro dell'uomo, ma anche come una lotta necessaria e terribilmente urgente per salvare il suo passato... - PS: L'umanità è soprattutto preoccupata per il pericolo di una guerra catastrofica. Ti pare che l'orizzonte permanga sempre cosi oscuro da giustificare appieno queste ansie?
- PPP: Ho una grande tenerezza per Giovanni XXIII, una grande ammirazione per Krusciov, e una certa simpatia per Kennedy. Mentre ho un profondo disprezzo per la borghesia: un disprezzo pratico e ideologico, che mi fa vedere il nostro avvenire molto oscuro. Casi da museo teratologico come quello di Hitler, le nostre borghesie sono capaci in ogni momento, in ogni circostanza, di produrne; perchè sono mostruose esse stesse, per aridità, cinismo, ignoranza, qualunquismo, ferocia, miopia. Al vertice, l'orizzonte è abbastanza sereno. Ma al livello medio del capitalismo — o del neocapitalismo — la guerra è un fatto che può sempre accadere. E' per questo, che, inconsciamente — malgrado la sua assurdità — continuiamo a temerla. Il sentimento dei privilegi di classe, che, sul piano pratico e terribilmente razionale, sul piano ideologico e sotto il dominio dell'irrazionalità. Perciò non vedo che garanzie possano dare le nostre classi dominanti per la pace. Esse, comunque, tendono a modellare l'uomo secondo la loro forma interna: la mostruosità, come meccanicità, assenza dell'umano. Facciamo scoppiare le atomiche o giungano alla completa industrializzazione del mondo, il risultato sara lo stesso: una guerra in cui l'uomo sarà sconfitto e forse perduto per sempre. - PS: I riferimenti dibattiti culturali in URSS e alle posizioni che ivi sono prevalse — e su cui noi abbiamo espresso il nostro parere e precisato i nostri punti di dissenso — sono ormai diventati un tema obbligato, spesso per cavarne della propaganda anticomunista, in questa campagna elettorale. Ci dici che ne pensi, e su quelle questioni e sull'eco che se n'è avuto qua?
- PPP: Si, disapprovo il discorso di Krusciov sulle questioni letterarie e artistiche. Chi non lo disapprova? Ne deduco che, come critico o ideologo letterario, Krusciov, che e un grandissimo uomo politico, non vale molto. Del resto, invidio Evtuscenko. Te l'immagini un'Italia in cui il capo del governo facesse un discorso di cinquanta pagine su un poeta o su una questione di ideologia letteraria? Te l'immagini un'Italia in cui l'immenso pubblico che si interessa delle sciocchezze della televisione, si interessasse invece dei problemi della poesia? La dura realtà è invece che in Italia i leaders dei partiti al governo perderebbero migliaia o centinaia di migliaia di voti, se parlassero di letteratura; la dura realtà e che in Italia i capi del governo, se si interessano di problemi estetici, è per inaugurare le iniziative culturalmente di quart'ordine o le onoranze a valori giubilati o accademici; la dura realtà è che in Italia la classe dirigente si difende contro gli intellettuali e i poeti mettendoli brutalmente al bando o mandandoli in prigione.
Certo che, malgrado il discorso di Krusciov, voto comunista! Perchè so che Stalin e ormai un'ombra: e il capo di un governo che discute, anche a torto, di poesia, mi è estremamente simpatico.
Gli uomini di cultura e le elezioni del 1963. Pasolini voto PCI per contribuire a salvare il futuro. Intervista rilasciata a Paolo Spriano, L'Unità, sabato 20 aprile 1963
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