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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Pier Paolo Pasolini su Cesare Pavese, intervista di Franco Fortini (1972)


Nel 1972 Franco Fortini stava realizzando un film-documentario su Cesare Pavese. Durante la lavorazione incontrò Pier Paolo Pasolini in un albergo e volle approfittare della sua presenza per inserire anche il suo intervento. L’intervista fu concessa ma non andò mai in onda; Pasolini stroncò duramente lo scrittore e poeta piemontese. Lo giudicò “mediocre” e “provinciale”, salvando (con qualche riserva) solo il suo impegno politico e la fedeltà alla sua morale letteraria.



Franco Contini: Pasolini, lei è un famoso romanziere e famoso cineasta che tutti conosciamo e ammiriamo e vorrei che ci dica che cosa Pavese è stato, è e cosa è ancora per lei.


Pier Paolo Pasolini: Penso che lei mi chiede un giudizio sull’opera di Pavese in conclusione. Ogni giudizio critico all’inizio è sempre assiologico, consiste in un sì o in un no. Su Pavese il mio giudizio è no; da sempre, da quando ho iniziato a leggerlo che ero quasi ragazzo. Ed è no, non tanto perché non lo considero un grande scrittore, è no perché lo considero uno scrittore medio, che non va oltre la media di uno scrittore italiano.


FC: Nessuna opera va salvata da questo giudizio?


PPP: Per me Pavese è un letterato medio italiano, nessuno sopra va oltre questa linea media o addirittura mediocre insomma.


FC: Pavese è stato, nella sua epoca uno scrittore impegnato, sappiamo che anche lei si occupa molto di politica e da questo punto di vista cosa pensa dell’impegno di Pavese?


PPP: L’impegno di Pavese è stato molto corretto. In quegli anni era facile avere un impegno politico corretto perché consisteva soprattuto nell’essere antifascisti e immediatamente dopo la guerra consisteva nell’adeguarsi ai valori nati dalla resistenza. Era l’inizio di quell’epoca che si è chiamata “dell’impegno letterario”. A quel punto era facile e il suo impegno politico è stato corretto e forse da questo dipende la sua fortuna: è uno scrittore che non suscita grandi problemi, né letterari né politici.


FC: Cosa pensa che Pavese rappresenti nella cultura italiana?


PPP: Nella cultura italiana, quella viva e operante, non rappresenta molto; ha il suo posto, è ben catalogato in una storia della letteratura italiana contemporanea perché, ripeto, è uno scrittore medio e mediocre ma assolutamente rigoroso, mai venuto meno alla sua morale letteraria, questo bisogna assolutamente ammetterlo.


Per quel che riguarda la popolarità, la letteratura intesa come consumo popolare, Pavese continua ad avere una certa rilevanza sempre. Anzi direi che soprattutto in provincia, presso l’élite culturale della provincia italiana, guai a non fare subito il nome di Pavese; una specie di distintivo che uno ha all’occhiello e che lo distingue dalla massa che non conosce Pavese, una specie di vanto.


FC: I giovani, quelli nati dopo il ’68, nati culturalmente dopo il ’68, leggono Pavese o no?


PPP: Ho l’impressione che il ’68 abbia dato un brutto colpo alla letteratura, a tutti i livelli e tutti gli autori e che anche Pavese abbia un po’ traballato dopo il colpo inferto dal ’68 alla cultura italiana. Però continua ad avere quella funzione che le dicevo, soprattutto in provincia, un giovane provinciale anche di 18-19 anni fa il nome di Pavese come se fosse un distintivo, che lo lega ai centri culturali, quali si guardano bene dal deluderlo perché temono l’impopolarità.

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