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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Siamo due estranei: lo dicono le tazze da tè, Pasolini in Gennariello (1975)


Pier Paolo Pasolini immortalato nella Torre di Chia da Gideon Bachmann (1975) © Fondo Bachmann-Beer/Cinemazero /Tutti i diritti riservati

Non mi stancherò mai di ripetertelo: io, nel parlarti, po­trò forse avere la forza di dimenticare, o di voler dimen­ticare, ciò che mi è stato insegnato con le parole. Ma non potrò mai dimenticare ciò che mi è stato insegnato con le cose. Quindi, nell'ambito del linguaggio delle cose, è un ve­ro abisso che ci divide: ossia uno dei più profondi salti di generazione che la storia ricordi.


Ciò che le cose col loro linguaggio hanno insegnato a me, è assolutamente diverso da ciò che le cose col loro linguaggio hanno insegnato a te. Non è cambiato, però, il linguaggio delle cose, caro Gennariello. La caratteri­stica prima del linguaggio delle cose, infatti, consiste nell'impossibilità a cambiare: a restare fisso, sclerotico, incontrovertibile (repressivo, come ti dicevo l'altra vol­ta). Non è cambiato il linguaggio delle cose: quelle che sono cambiate sono le cose stesse. E sono cambiate in modo radicale.


Tu mi dirai: le cose sempre cambiano. «'O munno ca­gna.» È vero. Il mondo ha eterni, inesauribili cambia­menti. Ogni qualche millennio, però, succede la fine del mondo. E allora il cambiamento è, appunto, totale. Ed è una fine del mondo che è accaduta tra me, cinquanten­ne, e te, quindicenne.


La mia figura di pedagogo è dunque messa irrimediabilmente in crisi. Non si può insegnare se nel tempo stesso non si apprende. Ora io non posso insegnare a te le «cose» che mi hanno educato, e tu non puoi insegnare a me le «cose» che ti stanno educando (cioè che stai vivendo). Non ce le possiamo insegnare a vicenda per la semplice ragione che la loro natura non si è limitata a cambiare alcune sue qualità, ma è cambiata radicalmen­te nella sua totalità, è divenuta altra.


Osserviamo un fenomeno che sembra irrilevante. So­no tornati da qualche tempo di moda gli «oggetti» degli anni Trenta e Quaranta: e io sto girando un film am­bientato precisamente nel '44.


Sono quindi costretto ogni giorno - con quello sguar­do impietoso e elencatorio che il cinema richiede - a os­servare gli «oggetti» che filmo. In questi giorni sto gi­rando una scena in cui delle signorine borghesi prendono il tè. Ho osservato dunque, tra gli altri ogget­ti, anche delle tazzine da tè.


Il mio scenografo Dante Ferretti aveva fatto le cose in grande: aveva procurato per la scena un servizio molto prezioso. Erano tazzine color giallo uovo chiaro, con delle macchie a rilievo bianche. Il manico era un pezzo unico, scannellato. Legate all'universo della Bauhaus e dei bunker, esse erano angosciose. Non potevo guardar­le senza provare una fitta al cuore, seguita da un profon­do malessere. Tuttavia quelle tazzine avevano in sé una misteriosa qualità, condivisa, del resto, dalla mobilia, dai tappeti, dai vestiti e dai cappellini delle signorine, dalle suppellettili, dalle stesse carte da parati: questa misterio­sa qualità non dava però dolore, non causava un violen­to regresso (che poi la notte ho sognato) in epoche ante­riori e atroci. Dava anzi gioia. La loro misteriosa qualità era quella dell'artigianato. Fino al Cinquanta, fino ai pri­mi anni Sessanta è stato così. Le cose erano ancora cose fatte o confezionate da mani umane: pazienti mani anti­che di falegnami, di sarti, di tappezzieri, di maiolicari. Ed erano cose con una destinazione umana, cioè perso­nale. Poi l'artigianato, o il suo spirito, è finito di colpo. Proprio mentre hai cominciato a vivere tu. Non c'è soluzione di continuità ormai, ai miei occhi, tra quelle tazzi­ne e un vasetto.


Il salto tra il mondo consumistico e il mondo paleoin­dustriale è ancora più profondo e totale che il salto tra il mondo paleoindustriale e il mondo preindustriale. Que­st'ultimo, infatti, è stato superato definitivamente - abo­lito, distrutto - soltanto oggi. Fino a oggi è stato esso a fornire i modelli umani e i valori alla borghesia paleoin­dustriale: anche se essa li mistificava, li falsificava e li rendeva talvolta orrendi (com'è successo col fascismo e in genere con tutti i poteri clerico-fascisti). Mistificati, falsificati, resi orrendi al livello del potere, essi restavano reali al livello del mondo dominato dal potere: mondo che si era mantenuto in pratica, nell'enorme maggioran­za, contadino e artigianale.


Da quando tu sei nato, quei modelli umani e quei va­lori antichi non son serviti più al potere: e perché? Per­ché è cambiato quantitativamente il modo di produzio­ne delle cose.

La verità che dobbiamo dirci è questa: la nuova pro­duzione delle cose, cioè il cambiamento delle cose, dà a te un insegnamento originario e profondo che io non posso comprendere (anche perché non lo voglio). E ciò implica una estraneità tra noí due che non è solo quella che per secoli e millenni ha diviso i padri dai figli.


Pier Paolo Pasolini. Siamo due estranei: lo dicono le tazze da tè, 24 aprile 1975 in Gennariello, in Lettere luterane, ora in Saggi sulla politica e sulla società, Meridiani Mondadori, Milano 1999.
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1 Comment


Rita Scafidi
Rita Scafidi
May 09, 2023

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