Pier Paolo Pasolini nella borgata romana di Centocelle, 1960 © Federico Garolla/Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa della Delizia/Riproduzione riservata
Qui, nella campagna romana,
tra le mozze, allegre case arabe
e i tuguri, la quotidiana
voce della rondine non cala,
dal cielo alla contrada umana,
a stordirla d'animale festa.
Forse perché già troppo piena
d'umana festa: né mai mesta
essa è abbastanza per la fresca
voce di una tristezza serena.
Cupa è qui la tristezza, come
è leggera la gioia: non ha
che atti estremi, confusione,
la violenza: è aridità
il suo ardore. Invece è la passione
mite, virile, che rischiara
il mondo in una luce senza
impurezze, che al mondo dà le care
civili piazzette, dove ignare
rondini scatena l'innocenza.
Borghi del settentrione, dove
dal ragazzo con fierezza
e allegra umiltà nasce il giovane,
e vive la sua giovinezza
da vero adulto, benché piova
il suo occhio chiaro e la sua bionda
testa luce infantile: ma è
quell'infanzia solo gioconda
onestà: egli nella sua fonda
vita il mondo matura con sé.
Perciò possono ancora le rondini
cantarlo, gettandosi lievi
nelle piazzette dei girotondi,
dei canti puerili, dove le nevi
si dissolvono in biancospini,
più pure, e questi si mutano
per la dolce foga della semenza
in rose, in gigli: ché confini
le stagioni non v'hanno, né incrina
nuova esistenza l'esistenza.
Qui venti affricani l'assolato
inverno bruciano: nascono
carnai di fiori, è già estate.
I ragazzetti dentro tasche
già impure infilano viziate
le mani: la loro violenza
infantile resterà nella nera
loro bellezza adulta. Esperienza
è ironica durezza: senza
rondini, di cani urla la sera.
O, se rondini volano, alte
vanno a stridere su tetti
di grandi case dove l'arte
straripante dei secoli eletti
scolora come in vecchie carte:
e anche il loro garrito,
se girano in cielo, smuore
in diversi spazi, in un mitico
scenario. E su di esso sbiadito
si chiude un cielo di memorie.
La jungla delle anime scure
come la pelle e gli occhi, che
la moderna vita nutre a dure
necessità e bassezze, ormai è
su Roma, la stringe in impure
confusioni, in ciechi smarrimenti
di stile, come una piena sale
oltre i rotti argini: impotente
la Roma del potere ne sente,
ancora plebe, l'ansia nazionale.
II
Ah, rondini, umilissima voce,
dell'umile Italia! Che festa
alle pasquali fonti, alle foci
dei fiumi padani, alla mesta
luce della piazzetta, dei noci,
dei filari a festoni da gelso
a gelso, che ai vostri garriti
verdeggiano più umani! Che eccelso
significato in quel vostro perso
groviglio, nuovo, di gridi antichi.
E' dentro il tempo dato al puro,
allo struggente passare che
lanciate con sopita furia
quei vostri gridi: in sé,
quieto, li accoglie un già scuro
cielo primaverile, o un'alba,
o un lieto mezzogiorno... E passa,
con lo stupendo tempo che gli alberi
ingemma e spoglia, le ore scialbe
accende, raggela i caldi sassi.
E' nel tempo puramente umano,
accoratamente umano, che
s'incide il vostro guizzo vano
di animale dolcezza, è
-insieme prossimo e lontano-
nel tempo che non torna , e torna
sempre sopra il mondo che non ha
rimpianti, a sprofondar la gorna
solatia, l'acre aia, l'adorna
campagna, quasi in perdute età.
E' indifferenza o nostalgia
il sentimento – anch'esso umano
e fuggitivo- di chi vi spia,
in quel meriggio, in quel gramo
vespro, perse in turchine scie...
La natura vi dà e la natura
vi esprime nel cuore che stordite.
Il tempo che uguale s'infutura
con sé vi trasporta nell'oscura
monotonia che rinnova le vite.
Ah, non è il tempo della storia,
questo, della vita non perduta,
non sono questi gli alti, incolori
luoghi di una patria divenuta
coscienza oltre la memoria.
Ma dove meglio riconoscerli
che in questi antichissimi incanti
in cui son più vicini? Fossili
d'un'esistenza che ai commossi
occhi, non si svela, si canta?
Dove meglio capire, intera,
la natura che deve farsi
nazione, l'ombra che s'avvera
nella chiarezza? Ah dolci intarsi
che nella vellutata sera
della Venezia, della Lombardia,
-terrorizzata quasi nella
troppa ebbrezza, nella pazzia
che troppo la trascina – pia
la rondine intreccia sulla terra.
Più è sacro dov'è più animale
il mondo: ma senza tradire
la poeticità, l'originaria
forza, a noi tocca esaurire
il suo mistero in bene e in male
umano. Questa è l'Italia e
non è questa l'Italia: insieme
la preistoria e la storia che
in essa sono convivano, se
la luce è frutto di un buio seme.
III
Imperlate già di nascenti
stelle, vibrano tra i castagni
le rondini. Confuse le senti
lacerare l'aria sugli altagni
secchi, sui tiepidi spioventi
della villa, e lo stradone
cupo nel suo tenero asfalto;
la famiglia tace, del padrone,
ma i figli dei mezzadri, come
nel vecchio mondo gridano alto! Come si assiepa il secolare loro gridio di servi indenni da bassezza, nella popolare dignità dei rustici e solenni loro municipi settentrionali... Loro è la sera, loro è l'accento dela campana; s'è il dolce sabato, loro è l'allegrezza che il vento da orti, aie, osterie, lento e quasi religioso, dirada. Ecco là, le loro macchie vivide di tigli, e in nude prospettive i gelseti che i giovinetti all'imbrunire sfogliano, e le rive dei fossi caldi di saggine. Ecco il sambuco, ecco il pioppo che sbianca, sulle rosse bambine a erba pei conigli, chine sotto le campane a doppio . Ecco, a inazzurrare la pianura, le loro Alpi: cerchio silente che se in morene e laghi oscura i suoi biancori, e i suoi sgomenti vi quieta, quasi impaura la sua serenità. Sfuma l'Italia negli smorti, eccelsi toni di quei nevai: contro cui l'ala cieca della rondine esala più vera le quotidiane passioni. Più vera perché più espressa, libera: nel suo fragile arco non porta il peso dell' ossessa rassegnazione - furente marchio della servitù e del sesso- che il greco meridione fa decrepito e increato, sporco e splendido. E' necessità liberarsi soffrendo, ma lottando soffrire, la storia. E' necessità il capire e il fare: il credersi volti al meglio, presi da un ardire sacrilego a scordare i morti, a non concedersi respiro dietro il rinnovarsi del tempo. Eppure qualche cosa è più forte del nostro ardore empio a maturare nella mente a fare della natura virtù. E ci trascina indietro, al fresco, all'arso tempo, al tempo vano, assordato dalle vane feste dell'umile gente, al tempo umano, al tempo allegramente terrestre, al tempo che vive il suo incanto, con le rondini, nel solatio paese padano, nel fianco dei freschi colli, e che di schianto voi volgete, rondini, all'addio.
Pier Paolo Pasolini "L'umile Italia'" Il poemetto, il quinto, apparve nell'aprile del 1954 su "Paragone-Letteratura" poi in "Le ceneri di Gramsci"Garzanti, Milano (1957)
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