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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Una lezione di storia con il coro “Pasolini-assassini”, Vincennes 1974.


Pier Paolo Pasolini nell’Università di Vincennes, Parigi, 1970 © Alain Loison/SIPA/Getty Images/Tutti i diritti riservati


Era la fine de novembre 1974, secondo anno del mio tumultuoso insediamento all’Università di Parigi-VIII Vincennes, quando mi raggiunse lì Pasolini. In Italia, la nobile sinistra mi aveva emarginato, come si voleva allora, per diffidenze ideologico-politiche. A Vincennes mi avevano offerto, grazie alla mia laurea in lettere e filosofia dell’Università di Roma, un piccolo insegnamento.


Subito avevo trasformato la mia precaria “cattedra” in un luogo di libertà come lì si poteva. Seminario su Gramsci e poi, nel’74, inaugurai il seminario sul fascismo europeo, compreso quello francese. Una novità sferzante, un’audacia spericolata nell’insegnamento universitario tradizionale, anche se col ’68 quello era stato ridotto in camicia.


Pasolini venne a darmi una mano. Avevamo lavorato insieme a Vie Nuove, dove teneva la rubrica “Dialogo con i lettori”. L’unico che avesse capito l’incendio di quel dibattito e la sua posta. Arrivò con Naldini per presentare il film “Fascista”, un’opera differente da tutti gli atri “pezzi storici” che avrei disseminato nel programma del seminario: andavano dalla proiezione dell’”Süss l’Ebreo” di Veit Harlan, a “Metropolis” di Fritz Lang e anche la “Nave Bianca” e “L’uomo della croce” di Rossellini, prima di “Paisà”.


“Fascista” di Naldini era un film povero, ideato solo col fervore intellettuale, ma aveva la robusta evidenza dell’immagine dal vero, tutto girato servendosi di documentari Luce e quasi senza commento del regista. Le scene esplodevano in una mascherata tragica e grottesca, con folle oceaniche, i cortei delle madri fasciste, gli sposi prolifici dei “Casti connubii” e le puerpere decorate nei loro letti dal Maschio-Marito di tutte.


E poi l’incubo di sterminate masse nere che gridavano come scemi: “Ducce, Ducce”. Le statue di maschioni inviti su ergevano sugli stadi da contro le macerie della guerra perduta. I miei studenti schiumavano di rabbia. Si schieravano dalla parte della classe operaia, che per loro era sempre adamantina.


Il film, secondo quelli, era un falso, un montaggio. Il solo momento di distensione - anche durante la proiezione con Pasolini- era sempre l’arrivo di Mussolini sullo schermi. Meglio di Chaplin! Con i suoi pennacchi di aigrettes bianche, le collane d’oro, le frange di setta sul fez, quasi vestito da donna, si esibiva nelle storiche boccacce ed urla belluine tipo “Vinceremo!”.


Scrosci di risate. (Forse è per l’humour involontario, il più irresistibile per suscitare le risate, che Fini ha definito il Dyce “il più grande statista del XX secolo”. Ma forse ignorando che nella Francia dell’ergastolo a touvier non si ride affatto, e tanto meno in Europa oggi. Non si ride affatto, affatto! Anzi...).


Nell’anfiteatro riempito fino all’orlo dei suoi duemila posti, lo scontro fu rude. Rivedo Pasolini con una mossa di judo cercare di difendermi dall’assalto di uno che scaraventa sul palco, mentre introducono la lezione, prima del film. Ma la preda era lui. Sentivo odore di linciaggio: parola che veniva, purtroppo, presaga, sotto la sua penna allora (“ Sono come un negro, mi vogliono linciare” scriveva nelle “Lettere a Gennariello” parlando della propria avversione all’aborto).


Lo rivedo, occhiali neri, braccia incrociate, ma pronto alla sfida dell’azione. Il volto è più scavato che mai, divorato dalla sua “mania di verità” (quale intellettuale la conosce in Italia questa curiosa passione?), mentre quegli scalmanati gridavano “Pasolini-assassini”. Un boato.


Ma Pasolini detestava il giovanilismo, che torna ora di moda, e non temette di pronunciare la sua ennesima “eresia”: “Il modello dell’insolenza, l'assenza di umanità, la crudeltà è identica: come distinguere un giovane fascista da un giovane antifascista?” Lettere luterane.


Si aggrappò al microfono davanti alla marea del moralismo benpensante. Delineava la continuità del fascismo con le nuove violenze quotidiane. È l’Italia ritmata dal rumore sordo dei cadaveri, più intenso che nel passato, con le strage di Stato, l’ecatombe, la strage...Su questa parola, la trage, la voce rauca si interrompe, spira sul mio magnetofono.

Le fotografie che qui riproduciamo le ho ritrovate a Parigi, eccezionali documenti, inediti in Italia.è una sequenza mozzafiato, che inizia con Pasolini e Naldini ignari di quel che si prepara, mentre io sento arrivare la tempesta. Nella platea sovraeccitata- “il popolo italiano e francesi sono stati l’avanguardia antifascista”- un giovane cinese o giapponese?, col casco da motociclista, in piedi sulla sedia si toglie i pantaloni e le mutande in spregio a Pasolini. C’è quasi riuscito, quando una studentessa bionda lo blocca urlando: “Fai schifo, brutto come sei”. Potenza della beffa: quello si ritira su i pantaloni.


Ma “Pasolini-assassini” il refrain pervertito si alza ancora come un ululato tra provocatori ultrarossi, misti a provocatori ultra neri. Naldini si prendeva la testa tra le mani, di colpo ammutolito. L’anfiteatro fu fatto sgomberare. Ce ne andammo avviliti.


Per Pasolini c’era un’intuizione fondamentale: il fascismo è un fenomeno culturale e come tale può vivere anche a sinistra (stalinismo). La cattiva coscienza di fronte al fascismo e antisemitismo di certi intellettuali francesi o italiani poneva il problema storico centrale; come depistare il cancro del fascismo. Pochi mesi dopo, nell’Autointervista, comparsa nel marzo’75 sul Corriere della Sera, poneva il problema del neofascismo.


L’antifascismo gli pareva un’idea nuova in Occidente. Soprattutto un problema di cultura. Lui, testardo, prima del libro sulla Shoah e il film Olocausto, sarebbe giunto alle estreme conseguenze del carnaio nazista, con Salò. Per lui, nell’Italietta come la chiamava “la storiuzza italiana che si insegna è una cosa ridicola che rende un uomo stupido per tutta la vita” (Volgare eloquio). En in quanto alla Francietta, sbottava così: “Ogni francese è come un faraone chiuso nella sua piramide” (Le belle bandiere).


Que seminario sul fascismo - durato due ore orribili ma esaltanti anni, 1974-75 - fu pubblicato nel 1976 da Christian Bourgeois, col titolo Elements d’analyse du fascisme. E andò a ruba. Nel mio scaffale lo rivedo por tradotto in tedesco, spagnolo, inglese, giapponese... introdotto nelle scuole di mezzo mondo. Ma quel che manca è l’edizione italiana. Un editore milanese, molto di sinistra, lo rifiutò così: “ In Italia sappiamo già tutto del fascismo”. È il solo lavoro mio che non abbia visto la luce da noi, (insieme a un Seminario europeo per Pasolini, che era stato massacrato il 2 novembre 1975).


Maria Antonietta Macciocchi. All’armi siam studenti. Università di Vincennes. Un Seminario sul fascismo scatena la protesta degli. Poi un giorno arriva il poeta “corsaro” ed è subito battaglia. Una lezione di storia con il coro “ Pasolini-assassini”, Il Corriere della Sera, 24 aprile 1994.

214 visualizzazioni2 commenti

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2 Comments


fede.spina
May 03

L'articolo ha molti refusi.

Inoltre non aiuta a capire come si è sviluppata la discussione a Vincennes

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dicarloan
Apr 25, 2023

Oggi 25 Aprile 2023 tutti noi dovremmo leggere questa lettera.

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